La rivoluzione pluralista

All'unità umana corrisponde una meravigliosa quanto complessa diversità di culture. Questo il presupposto da cui parte il libro "Intercultura. Report sul futuro" curato da Anna Granata di prossima pubblicazione per Città Nuova
Intercultura
Molto spesso il plurale, oggi, fa ancora paura, anche se è l'omologazione a decifrarsi sempre più costantemente come un'operazione coercitiva. Quando l'incontro favorisce e ristabilisce la giusta cifra per creare rapporti sempre più "interculturali", allora si apre uno scenario nuovo. Ma sarà questo il futuro? Il nuovo libro per Città Nuova curato da Anna Granata, Intercultura. Report sul futuro analizza i meccanismi della rivoluzione pluralista a cui oggi il mondo assite, come spiega in anteprima, nel brano introduttivo. 

 

«C’è un’unità umana. C’è una diversità umana»[1], scrive Edgar Morin nel suo libro sul tema dell’identità. Parliamo, infatti, dell’intelligenza umana, ma la concepiamo soltanto attraverso singole forme di intelligenza molto diverse tra loro. Parliamo del linguaggio, che accomuna gli uomini, ma che si esprime in lingue e alfabeti distanti tra loro. Parliamo della società, ma per dare concretezza al concetto dobbiamo fare riferimento a società collocate storicamente e geograficamente.

 

«Parliamo anche dell’idea di cultura, che è possibile però circostanziare solo attraverso singole culture, anzi, attraverso il modo in cui le persone incarnano e veicolano quelle stesse culture che altrimenti ci paiono del tutto astratte. Ci dice sempre Morin che coloro che vedono la diversità delle culture tendono a minimizzare l’unità umana, mentre coloro che vedono l’unità umana tendono a considerare come secondaria la diversità delle culture.

 

«Tenere insieme unità umana e diversità delle culture: è questo il presupposto teorico da cui prende le mosse questo libro. Non è possibile infatti parlare di intercultura senza considerare il valore della diversità di approcci e contesti culturali distinti, e allo stesso tempo non è possibile parlare di intercultura senza avere come sfondo la comune esperienza umana.

L’incontro tra persone di culture diverse richiama necessariamente un’idea di unità (la condivisione di un contesto, di una prospettiva, di un codice comunicativo) e al contempo un’idea di diversità (la diversa origine, biografia, il sistema di valori di riferimento).

L’approccio interculturale si tiene in equilibrio tra queste due dimensioni, cercando di non trascurarne nessuna. Non ha tanto lo scopo di andare a vedere cosa accade dentro le singole culture, che difficilmente si caratterizzano per compattezza e coerenza, ma piuttosto di andare a vedere «quanto accade fra culture che risultano assai più sfumate e sfrangiate di quanto immagineremmo»[2].

 

«Al termine “pluralismo culturale” siamo abituati, istintivamente, ad attribuire un’immagine negativa. Il moltiplicarsi delle idee, degli stili di vita, delle appartenenze, sollecita un senso di incertezza che mette a disagio e destabilizza. Per diretta conseguenza, l’eterogeneità che caratterizza i contesti educativi viene considerata quasi sempre come un handicap, un problema, e in certi casi addirittura la fonte principale della loro disfunzione.

Nella società italiana, in particolare, siamo ancora ancorati a una forte tradizione di omogeneizzazione, per cui la differenza (culturale o di altra natura) viene letta come elemento di disturbo che interrompe una presunta quiete precedente. È forse questo uno dei motivi forti per cui la società italiana fatica ancora ad accettare di essere divenuta una società multiculturale e multireligiosa, al pari di altri Paesi europei.

 

«Scopo di questo libro è contribuire a diffondere l’idea che la pluralità è oggi la norma entro la nostra società, mentre l’omogeneità è una forma di coercizione che rischia di annullare le differenze e silenziare le voci fuori dal coro. Questa infatti è, in estrema sintesi, la “rivoluzione copernicana” introdotta dall’approccio interculturale[3]. Un approccio che si è prestato talvolta a letture ideologiche e semplificanti, ma che ha ormai alle spalle una solida tradizione di ricerca[4]».



[1]
E. Morin, Il metodo, 5. L’identità umana, Raffaello Cortina, Milano 2002.

[2] D. Zoletto, Il gioco duro dell’integrazione. L’intercultura sui campi da gioco, Raffaello Cortina, Milano 2010, p. 68.

[3] Cf. M.A. Abdallah-Pretceille, L’éducation interculturelle, Presses universitaires françaises, Paris 2011 (ed. or. 1999).

[4] Cf. C. Camilleri – M. Cohen-Emerique, Chocs de cultures: concepts et enjeux pratiques de l’interculturel, L’Harmattan, Paris 1989; Camilleri, Vinsonneau, 1986; Clanet, 1986; F. Lorcerie, L’école et le défi ethnique, ESF-INRP, Paris 2003; F. Ouellet, L’éducation interculturelle. Essai sur le contenu de la formation des maitres, L’Harmattan, Paris, 1991; Abdallah-Pretceille, 1986. Nel contesto italiano, cf. F. Cambi, Incontro e dialogo. Prospettive di pedagogia interculturale, Roma, Carocci 2006; Favaro, Napoli, 2004; F. Pinto Minerva, L’intercultura, Laterza, Roma-Bari 2007; M. Santerini, Intercultura, La Scuola, Brescia 2003.

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