La rivoluzione gialla continua

Noynoy Aquino ha vinto le elezioni delle Filippine. Lo aspettano tante sfide, in primis il rilancio del processo democratico. La cronaca del direttore di Living City
presidente filippine

Tre ore di attesa per esercitare il mio diritto al voto in queste prime elezioni automatizzate. Ma che soddisfazione quando la piccola macchina nera, molto somigliante a un semplice fax, ma che invece è una macchina conta voti con tanto di scheda sim per trasmettere i risultati attraverso le reti dei telefoni cellulari, accetta la mia scheda! Poi, solo un’ora dopo la chiusura dei seggi, si possono già consultare i risultati sul web oltre che su radio e tv.

 

Noynoy Aquino ha vinto il seggio presidenziale. Sembra che questa sera le stelle stiano splendendo più lucenti sulle Filippine, quasi che le due icone di questa giovane democrazia, Cory e Ninoy Aquino, stiano sorridendo dal cielo nel vedere che uno dei loro figli eletto presidente delle Filippine. E più evidenti e numerosi sembrano anche i milioni di nastrini gialli, dal colore che ha sempre contraddistinto le campagne elettorali degli Aquino, e che da parecchi mesi adornano altrettanti milioni di automobili.

 

Nei giorni antecedenti le elezioni la tensione era altissima. Si erano preannunciati diversi scenari, quasi che stesse per arrivare il giudizio universale. Uno di questi era la possibilità che le elezioni venissero dichiarate nulle, con susseguente presa del potere da parte dei militari. Sei mesi prima, il massacro di 32 giornalisti e 40 persone altre persone nel Sud del Paese aveva tragicamente sottolineato il clima straordinariamente teso per la conquista del potere, anche a livello locale. Cinque giorni prima delle elezioni la maggioranza delle macchine predisposte allo spoglio delle schede sono state dichiarate difettose, con conseguente possibilità di dover posporre le elezioni. Invece, l’ingegno tipico dei filippini ha rimediato anche a questa situazione, e 65 mila schede elettroniche sono state sostituite nel giro di tre giorni. Ma stasera, Jose Melo, presidente delle Commissione elettorale, l’organo che presiede a tutte le operazioni di voto, appare rilassato mentre legge i risultati parziali che mostrano Aquino in testa nella corsa presidenziale.

 

Per Noynoy Aquino, però, il futuro si preannuncia tutto in salita. Lo aspettano infatti gli enormi e quasi insormontabili problemi che affliggono l’unica nazione cattolica in Asia. Nel sud, l’insurrezione di alcune tribù musulmane; in altre parti rurali del Paese, i ribelli comunisti che continuano a intralciare l’azione di governo; e infine il numero sempre crescente di filippini che cercano all’estero migliori condizioni di vita, per non parlare della corruzione e della povertà che affliggono la maggior parte della popolazione. Di positivo c’è che la gente, la gente normale, non ha smesso di sperare. Per questo forse Aquino diverrà presidente, perché incarna in qualche modo l’eredita’ dei suoi genitori, che, grazie alle loro vite esemplari, sono diventati parte del cuore e dell’anima di moltissimi filippini.

 

Una signora, appena uscita dal seggio mi dice: «Dobbiamo molto a Cory e Ninoy, non solo per aver restaurato la democrazia, ma anche per aver restituito al popolo la dignità di essere filippini. È giusto che sia loro figlio adesso a capo della nazione». Come sempre durante i momenti difficili, le speranze e le attese sono molto forti. Allo stesso tempo, il passato ha insegnato a questa gente come controllare l’euforia, nonostante l’indubbio valore che queste elezioni rappresentano per molti filippini. La rivoluzione pacifica iniziata da Ninoy Aquino, che ha pagato con la vita la fedeltà alla democrazia, e proseguita dalla moglie Cory nei suoi intrepidi e coraggiosi anni da presidente, continua ora con la vittoria di Noynoy. I sacrifici fatti da questa famiglia per il bene della nazione, non sono dunque andati perduti.

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