La possibilità del dialogo con i musulmani

Un'importante dichiarazione del Pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso sulla necessità per i cristiani di non lasciarsi irretire da una mentalità sbagliata che rischia di sconfinare in una vera islamofobia
Papa Francesco e musulmani

Gli avvenimenti di questi ultimi tempi fanno sì che molti ci chiedano: «C’è ancora spazio per dialogare con i musulmani?» La risposta è: sì, più che mai.

L’affermazione del card. Jean-Louis Tauran è chiara ed inequivocabile. Traccia una mappa ben definita sulla possibilità, anzi, sulla necessità di continuare il dialogo con uomini e donne che seguono l’Islam. Il documento uscito nei giorni scorsi a cura del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e firmato dal cardinale francese è un atto coraggioso e dovuto perché chiarisce che «la grande maggioranza dei musulmani stessi non si riconosce nella barbarie in atto».

In stile sobrio e chiaro la dichiarazione precisa i termini di una questione che rischia di degenerare in un vero scontro insanabile. Al centro del dibattito sta il concetto stesso della religione, una «parola [che] viene spesso associata alla parola “violenza”, mentre i credenti devono dimostrare che le religioni sono chiamate ad essere foriere di pace e non di violenza». In particolare, per via degli avvenimenti degli ultimi mesi, sono i musulmani ad essere al centro di questo dibattito, caratterizzato da «una radicalizzazione del discorso comunitario e religioso, con i conseguenti rischi dell’incremento dell’odio, della violenza, del terrorismo». Questo porta, inevitabilmente ‒riconosce il cardinale ‒ad una «crescente e banale stigmatizzazione dei musulmani e della loro religione».

Quale, dunque, la risposta da parte cristiana, ma anche nella prospettiva di ogni uomo e donna di buona volontà realmente interessato al bene comune non solo della propria comunità e gruppo, ma dell’intera umanità? Proprio la fraternità ed il dialogo, afferma il documento. «I credenti – si afferma nel testo ‒costituiscono un formidabile potenziale di pace, se crediamo che l’uomo è stato creato da Dio e che l’umanità è un’unica famiglia e, ancor di più, se crediamo come noi cristiani che Dio è Amore. Continuare a dialogare, anche quando si fa l’esperienza della persecuzione, può diventare un segno di speranza». Si tra, quindi, di un invito chiaro alla comunità cristiana in generale per un impegno sincero alla possibilità del dialogo. È necessaria una attenzione particolare a non imporre la propria visione della persona e della storia, ma a «proporre il rispetto delle differenze, la libertà di pensiero e di religione, la salvaguardia della dignità umana e l’amore della verità».

Il documento traccia anche una mappa che assicuri una chiarezza di direzione percorribile per un dialogo sostenibile che porti ad un sentimento di fraternità vera. In tal senso, Tauran indica tre contesti fondamentali per la costruire della comprensione e del rispetto reciproco: la vita in famiglia, le modalità di insegnamento della religione e della storia, il contenuto delle prediche nei rispettivi luoghi di culto. Si tratta degli ambiti dove può davvero essere costruita una civiltà della pace che possa reagire alla spirale di tensione ed odio che si sta creando a livello mondiale. È all’interno del nucleo familiare, infatti, che si creano le prime idee sul ‘altro’ e sul ‘diverso’, come pure sui banchi di scuola le menti dei giovani possono essere facilmente manipolate offrendo loro chiavi di lettura tendenziose di trascorsi storici. Infine, un ruolo importante è quello dei luoghi di culto, dove, purtroppo spesso, la religione degli altri non viene presentata in modo adeguato e positivo. D’altra parte è necessario rendersi conto, e non lo facciamo mai a sufficienza, che la religione è molto spesso manipolata per motivi che nulla hanno a che vedere con essa.

Il documento nella sua semplicità e linearità costituisce un indirizzo pastorale importante che meriterebbe grande attenzione da parte sia dei media che degli operatori pastorali, a cominciare, come suggerito dal cardinale stesso da sacerdoti e religiosi che animano le varie comunità sul territorio.

Per il documento vedi http://press.vatican.va/content/salastampa/en/bollettino/pubblico/2015/04/22/0301/00663.html

 

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