La polveriera spagnola

Mentre a Madrid si contano i feriti dopo gli scontri tra manifestanti e polizia, Artur Mas, governatore della Catalogna, annuncia  elezioni per il 25 novembre: saranno un referendum per l'indipendenza. Dal nostro corrispondente
Artur Mas

Un uragano agita di nuovo la Spagna sotto gli occhi attenti dell’Europa. «Sarebbe da ciechi il non vedere la gravità di questo periodo storico», ha detto il re di Spagna, Juan Carlos I, ieri a Barcellona in un evento pubblico che ha quasi coinciso con l’annuncio di Artur Mas, governatore della Catalogna. Proprio poche ore prima Mas aveva annunciato nel Parlamento catalano la chiamata alle urne per il 25 novembre. Nel frattempo, a Madrid, presso la sede delle Cortes, il Parlamento spagnolo, diecimila persone secondo l'organizzazione e seimila per la delegazione governativa, manifestavano a favore della democrazia e contro i tagli, la disoccupazione e i politici.
La protesta ha lasciato sul campo 64 feriti, tra cui 27 poliziotti, mentre una persona resterà tetraplegica. Intanto sono stati 35 gli arresti eseguiti.

Dall'altra parte dell'Atlantico, Mariano Rajoy, a capo del Governo, ha cercato di difendere la credibilità e la validità delle misure adottate dal Paese davanti a Barack Obama e alle stesse Nazioni Unite. Difficile da credere per gli americani e per gli spagnoli stessi che vivono questa situazione con un misto di preoccupazione, delusione e noia. Il re non sbaglia quando dice che la Spagna dovrà affrontare una fase critica della sua storia democratica e autonomistica. Oggi, la nazione iberica è una polveriera sociale e politica.
 
Una manifestazione controversa
Il 25 settembre è un capitolo che si aggiunge agli scontri frequenti tra la polizia in tenuta antisommossa e i manifestanti. Il corteo convocato dai movimenti sociali legati al movimento 15-M e a Real Democracy Now, per citarne solo alcuni, aveva l’obiettivo di esprimere il rifiuto delle politiche dei tagli, l'inazione sulla disoccupazione e la corruzione politica. Sullo sfondo si trova un divario profondo tra il tessuto sociale e quello politico. Erano più di 1300 le forze di sicurezza schierate per assicurare l'accesso a las Cortes ai membri del Congresso per un dibattito sulla politica generale. Il detonatore è stato un manifestante che ha cercato di spostare una delle recinzioni.

La reazione è stata rapida, la polizia  è partite con le cariche. Da un lato, i manifestanti pacifici sono stati picchiati e molti altri sono rimasti seduti per protestare pacificamente. Dall'altro i manifestanti radicali, con volti coperti e maschere, hanno provocato e, in alcuni casi, attaccato la polizia. Bastoni, proiettili di gomma o spari in aria, calci. Uno spettacolo disdicevole che veniva ripreso dai media del mondo e valicava i nostri confini, peggiorando l'immagine del Paese, e ciò preoccupa.
 
L’appello per le elezioni
In sospeso. Così hanno vissuto i parlamentari, i giornalisti e gli uomini d'affari i momenti prima che Artur Mas, presidente del governo catalano, comparisse davanti al Parlamento della regione dopo il suo incontro con Mariano Rajoy. Un incontro in cui, tra l'altro, non è stato firmato nessun atto. Mas è tornato a mani vuote e Rajoy ha mantenuto l'attuale Costituzione sotto il braccio e la sua proposta di revisione dei fondi regionali è stata rifiutata . «È il momento di esercitare il diritto di autodeterminazione», così si è spiegato Artur Mas nel discorso in cui ha annunciato le elezioni anticipate nella legislatura più breve della storia di questa regione. Due anni prima della scadenza del mandato, quindi, il 25 novembre i catalani torneranno alle urne, non per un’elezione qualsiasi ma quasi per un referendum sull'indipendenza, anche se Mas non ha mai pronunciato esplicitamente questa parola.
 
«Queste elezioni si svolgono non perché un leader vuole essere rieletto, ma perché il popolo possa decidere cosa vuole per il suo futuro come nazione». Ed ha annunciato che non si candiderà finché la Catalogna non abbia raggiunto il suo «obiettivo come nazione». I socialisti catalani hanno criticato il suo discorso in chiave elettorale, mentre il Partito popolare ha detto che porterà i catalani in un abisso. La realtà è che Mas non aveva avuto sufficiente sostegno per l'approvazione del bilancio del 2013 e che la pressione del suo partito, il Ciu (Convergenza e unione), è stata molto forte.  La Costituzione non consente referendum su scala locale, quindi queste elezioni non sarebbero valide se non come un plebiscito. Resta da vedere cosa accadrà con il risultato, ma l'atmosfera è sempre più calda sia in strada che tra i partiti e, così, è difficile votare a mente fredda.
 
Una situazione istituzionale controversa
Ciò si aggiunge alla crisi della Corona spagnola, che ha lanciato una nuova campagna di trasparenza per ripulire l'immagine dell'istituzione, che è stata colpita per diversi scandali. Juan Carlos fa appelli quotidiani per l'unità e il bene comune. Un messaggio che, invano, cerca di veicolare Rajoy, non solo dentro, ma anche fuori dai nostri confini. Ma l'instabilità politica e sociale cresce e questo, senza dubbio, inciderà sui mercati. Il futuro si prospetta ancora più complicato. Il re non si è sbagliato, la gravità è evidente, e anche la necessità di un vero dialogo e di politici veramente all'altezza della situazione.

È possibile leggere l'articolo in lingua originale nel pdf allegato

I più letti della settimana

Osare di essere uno

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Focolari: resoconto abusi 2023

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons