La politica liquida di Palermo

La vittoria di Ferrandelli e la sconfitta della Borsellino aprono interrogativi sul futuro del Pd e su una città ridotta allo stremo da veti incrociati che immobilizzano e contrappongono in modo sterile
Palermo Fila per le primarie del Pd

Alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Palermo, Fabrizio Ferrandelli ha avuto 9945 voti. Appena 67 voti in più di Rita Borsellino, che ne ha avuti 9878.
Gli altri due candidati, Davide Faraone, deputato regionale del Pd, 7975 voti e Antonella Monastra 1750. Qualcuno, con un gentile eufemismo, le ha definite “primarie nervose”. I numeri già la dicono lunga: circa 30 mila votanti nei 31 gazebo organizzati in tutta la città superano di molto i 19 mila che parteciparono alle scorse primarie del 2007. Che significato attribuire? Voglia di partecipazione o  risposta alle aspre polemiche che hanno preceduto e accompagnato queste consultazioni oltre lo stesso voto? Ferrandelli vince, ma con uno scarto così risibile, da mettere in dubbio il risultato. Si sono, infatti, registrate contestazioni in almeno tre o quattro seggi in città. In un seggio sembra siano state trovate una cinquantina di schede in più rispetto ai votanti.

Naturalmente tutti si aspettano giornate roventi e di passione. Soprattutto per il Partito democratico, non solo siciliano, ma anche nazionale. La vittoria di Ferrandelli, infatti, rafforzerebbe gli attuali equilibri politici alla Regione siciliana con Raffaele  Lombardo. Ma bisognerà tenere conto della tenuta del segretario nazionale del Partito democratico, Bersani, che colleziona un’altra sconfitta dopo le primarie di Napoli, Milano, Cagliari, Genova.
Qui a Palermo Bersani ci ha messo la faccia, come spesso ha ripetuto, e si è giocato tutto sul nome di Rita Borsellino, sorella del giudice assassinato dalla mafia nel 1992, appoggiata da tutto il centrosinistra: Sel, Federazione della sinistra, parte del Partito democratico e Italia dei valori, con Di Pietro e Orlando in prima linea.
Il segretario regionale del Partito democratico, Giuseppe Lupo, da parte sua dovrà sottoporsi, e non certo da una posizione di forza, alla mozione di sfiducia chiesta dai suoi oppositori interni, con conseguente rafforzamento dell’asse filo-governativo con Lombardo.

Il Partito democratico fin dall’inizio ha puntato sulla Borsellino, seppure una sua parte, con in testa il capogruppo dei deputati all’assemblea regionale, Cracolici, e uno storico dell’antimafia, Lumia, osteggiavano la scelta. Anzi i due gerenti del partito, appena Ferrandelli (capogruppo al comune di Italia dei valori) ha lasciato il suo partito, si sono schierati dalla sua parte.
Gli altri due competitori sono stati Davide Faraone, deputato regionale definito “rottamatore”, perché contro i partiti e legato al sindaco di Firenze Renzi, che lo ha apertamente appoggiato in questa corsa nelle primarie, e Antonella Monastra, consigliera comunale della lista Altra storia, che fa riferimento alla Borsellino. Ironia della sorte: la Monastra ha ottenuto il 5,8 per cento di voti, attingendo probabilmente nello stesso bacino elettorale e decretando, probabilmente, la sconfitta della sorella del giudice.
 
Fin qui la cronaca, ma la fotografia è già abbastanza sgranata e sgradevole. Il momento è delicato e non solo per le questioni tutte interne al Partito democratico: dare o meno l’appoggio al governo Lombardo? Fare o meno alleanze aperte al Terzo polo? Chiudere o meno l’alleanza con Sel e Idv? Certo, anche queste sono questioni non di poco conto. Ciò che preoccupa è la “politica liquida”,  all’interno della quale si sciolgono con cinismo valori che invece dovrebbero essere condivisi, e che vengono invece usati per rafforzare cartelli elettorali. Una preoccupante degenerazione. Palermo, forse, anche in questo ne è una fine interprete.
 
Sembra proprio che le primarie portino male al Partito democratico, perché da esercizio di democrazia sono diventate “tiro al piccione” o gioco ad “avvelenare i pozzi”. Anche il centrodestra con Francesco Cascio, presidente del Parlamento siciliano, si chiede con malizia: «Credete davvero che tra i 30 mila elettori che hanno votato non ve ne siano almeno 10 mila che non siano elettori della sinistra?». Anche questa è un’accusa lanciata al centrosinistra proprio da chi potrebbe essere il candidato sindaco proposto dal Pdl.
 
Insomma sembra impossibile trovare il bandolo della matassa e si ha un bel dire che bisogna ridare fiato alla partecipazione popolare. I partiti sono ingessati e qui a Palermo si tocca con mano: una campagna per le primarie tutta fatta di tatticismo, una partita giocata nervosamente. Intanto per le strade della città continua il calvario di chi è senza lavoro: il prossimo 31 marzo perderanno definitivamente il lavoro 1800 lavoratori legati alla Gesip, una delle partecipate del comune.  La certezza del dissesto finanziario si è già manifestata nei tagli radicali alle spese per il sociale, per l’istruzione, senza parlare della cultura e dei teatri sul lastrico: una gestione scellerata della precedente amministrazione ha portato al default. Intanto si preferisce temporeggiare e nessuno dice nulla.
 
Nel contempo, in questa tragedia kafkiana, qualcuno ricorda che finite le primarie il vincitore deve essere il candidato di tutti. Difficile trovare chi ci crede veramente, quando in realtà si avvicina la resa dei conti. Tatticismi e nervosismi anche nel campo avverso e non è un buon segnale, soprattutto per i cittadini più in difficoltà. Non è un bel segnale per la politica, giacché dimostra come, per i veti incrociati, si possa ridurre una città allo stremo. «Povera Palermo – disse con forza il cardinale Pappalardo in occasione dei funerali del generale Dalla Chiesa e della moglie – mentre Roma discute, Sagunto viene espugnata».
Anche in quegli anni bui e senza punti di riferimento, Palermo seppe ritrovare la sua dignità con una rinascita della politica e della cultura. Ma questo dipende da noi, da ciascun palermitano.

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