La parola ai Rom

Nella giornata di lutto cittadino per i quattro bambini morti nel rogo di via Appia i rappresentanti della comunità propongono alternative ai campi
Regina rom

Sono lucidi e orgogliosi gli occhi dei rappresentanti della comunità Rom mentre raccontano, alla stampa, il dolore per la perdita di Raul, Fernando, Sabatino e Patrizia. Un dolore che periodicamente si ripete e che non sembra per ora conoscere la parola fine. Era agosto quando un altro bambino era morto nel campo abusivo vicino l’Eur. Nella Sala delle bandiere del Palazzo della provincia di Roma, accanto alla rabbia, ci sono le proposte, c’è la mano tesa di un popolo che non si accontenta di propagandismi, né di assistenza, ma vuole dignità e reale integrazione.

 

«La politica dei campi nomadi non ha niente a che fare con l’integrazione» esordisce Nazzareno Guarnieri, presidente della federazione Romanì, che sotto questo nome riunisce ben 24 associazioni di Rom e Sinti. «Ci vogliono strutture d’accoglienza stabili e non le tendopoli che ci si accinge a preparare. La politica della provvisorietà è stata un fallimento e si deve riflettere sugli errori», continua Gualtieri, che porta a modello l’esperienza abruzzese. Qui la comunità rom vive in case sicure e quando dei gruppi arrivano in città, piuttosto che favorire la creazione di campi abusivi o il randagismo ci si attiva per un’accoglienza che non contempli la strada, anche con l’aiuto delle parrocchie.

 

Al centro della conferenza stampa ci sono le criticità del Piano Nomadi varato dal comune di Roma, che in realtà non è mai decollato limitandosi all’azione di sgombero forzato del campo Casilino 900, i cui abitanti,poi,  sono stati divisi tra i sette campi attrezzati della capitale. Alcuni però sono tornati a costruire, se così si può dire, nuove baracche abusive.

«Finché mancherà il coinvolgimento di rappresentati rom qualificati, nell’elaborazione di progetti di integrazione, i problemi persisteranno, anzi stanno arrivando ad un punto di non ritorno». Gualtieri cita il denaro pubblico speso senza grossi risultati proprio perché i rom sono stati esclusi da sempre dai tavoli di lavoro. «Perché non si parla di autogestione dei campi, perché si spendono venti milioni di euro in tecnologie e personale di sorveglianza, per un ghetto super moderno e non si pensa ad un piano casa per l’intera città. Noi chiediamo delle case per tutti i cittadini romani, con una quota anche per i rom, senza trattamenti speciali, ma con affitti che vengano incontro alle esigenze abitative di tutti».

 

E’ di quest’idea anche Emil Costache, lo zio di Marius, il bambino morto ad agosto. Guarnieri non vuole assistenzialismo, «né essere un orsacchiotto da esibire nelle manifestazioni», vuole lavorare con il suo popolo e per il suo popolo per uscire da questo grado di segregazione a cui si è persino abituato. «L’integrazione non si fa costruendo nuovi campi, ma smantellandoli e  costruendo un percorso con la comunità rom, con piccoli progetti pilota e senza enormi investimenti economici che alimentano troppe associazioni che ben poco sanno del nostro popolo».

 

Tudor Lucika prende la parola con il titolo di Regina dei rom, onorificenza acquisita proprio per le tante azioni di solidarietà a favore del suo popolo. Nelle sue parole non ci sono giudizi sferzanti sulla politica del sindaco di Roma, mentre è dura sulla modalità di integrazione dei suoi “sudditi”. «Se eliminare i campi significa eliminare il senso comunitario, l’appartenenza ad una stessa realtà culturale, dimenticare la propria lingua e le tradizioni non ci sto, -ribadisce -. Che i campi restino: lì abbiamo i nostri giudici, i nostri amministratori». Nelle sue parole c’è tutto il timore di perdere, mescolandosi nei quartieri, un’identità culturale sempre più fragile e sempre più difficile da conservare. Oggi i bambini conoscono appena 200 parole della lingua romanì, mentre dieci anni fa erano almeno seicento. Intanto al Parlamento europeo siede una rappresentante del popolo Rom: Olga Balan. Lei è una rom originaria della Romania decisa a difendere il diritto al lavoro delle donne, spesso costrette a mascherare identità civile e religiosa pur di garantirsi un lavoro. «Nessuna gonna, nessun velo per poter essere assunte come badanti: anche noi con i pantaloni, con un’identità rumena, mentre in realtà siamo rom».

 

La città, oggi, presenta negli uffici le bandiere a mezz’asta per il lutto cittadino proclamato dal sindaco Gianni Alemanno e mentre infuriano le polemiche sui poteri e sui fondi per gestire i campi rom, la comunità cristiana si riunisce in preghiera a santa Maria in Trastevere insieme ai Rom e a telecamere spente. Il dolore non ha bisogno di esibizioni, ma di soluzioni che non procurino ancora altre lacrime.

 

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