La pace va in scena a Varsavia

Non si capisce se la conferenza indetta a Varsavia dai vertici statunitensi si stato un vertice per la pace, come annunciato, o una semplice vetrina per un partito, quello del presidente Trump

Si è svolta la settimana scorsa a Varsavia (13-14 febbraio 2019) una conferenza mondiale promossa dal governo Usa e convocata in stile Trump, quello dei tweet per intenderci. Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, con un’intervista a Foxnews aveva infatti informato gli invitati sì e no un mese prima dell’andata in scena di questo incontro mondiale, senza alcuna consultazione previa dei Paesi alleati, peraltro invitati a partecipare con rappresentanti di alto livello. Il titolo ufficiale era letteralmente: “Conferenza ministeriale per promuovere un futuro di pace e sicurezza in Medio Oriente”. Detto così, sembrerebbe un’iniziativa importante. In realtà, e pure in modo esplicito, la pax trumpiana annunciata a Varsavia si fonda su due postulati, e come tali indiscutibili. In parole povere: la Repubblica islamica dell’Iran è cattiva e il colonialismo sionista è buono. Con queste premesse, però, l’iniziativa risulta tutto meno che condivisibile, anche perché, chissà come mai, non sembra avere nulla, ma proprio nulla, a che fare con la pace auspicata nel titolo. Il quotidiano israeliano Haaretz, di orientamento liberal, non ha potuto evitare di rilevare che il meeting appariva più un «vertice di partito» che una conferenza internazionale sulla pace. A Varsavia, la delegazione statunitense si è presentata in pompa magna: c’era il vicepresidente Pence, il segretario di Stato Pompeo, il genero di Trump, Kushner, l’ambasciatore Friedman ed altri. È perfino comparso l’avvocato di Trump, Rudy Giuliani, a sostegno di un’improponibile delegazione di mujahideen iraniani anti-ayatollah che manifestavano a margine della conferenza.

Date le premesse, l’Iran non era ovviamente invitato. Russia, Algeria, Libano e Palestina hanno esplicitamente rifiutato di partecipare al meeting polacco. Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la sicurezza, ha egualmente respinto l’invito. Il presidente palestinese Abu Mazen ha spiegato che non intendeva partecipare perché «gli Stati Uniti non hanno (più) un ruolo credibile dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele». Il ministro degli Esteri britannico ha accettato di andare a Varsavia solo se ci fosse stata una riunione a parte sullo Yemen: infatti è andato a quella e poi se n’è tornato a Londra. L’unico ministro degli Esteri europeo presente a Varsavia, oltre a quello polacco, è stato l’italiano Moavero Milanesi, la cui presenza è stata considerata dagli organizzatori statunitensi come un appoggio dell’Italia alla politica anti-iraniana, anche se il ministro non ha detto neppure una parola in quel senso, anzi in pratica non ha detto proprio nulla. La Turchia ha chiesto all’ambasciatore in Polonia di fare atto di presenza, Egitto e Tunisia hanno inviato dei viceministri, francesi e tedeschi dei funzionari diplomatici. Eccetera.

Insomma, chi c’era a Varsavia, oltre all’apparato statunitense? C’erano delegazioni qualificate dalla Polonia (il cui governo è notoriamente filo-Trump), da Israele, Arabia Saudita, Emirati, Kuwait, Yemen (i filosauditi, non certo gli houthi), Marocco e poi Bahrein, Giordania e Oman, ma l’impressione è che almeno questi ultimi non potevano esimersi dal partecipare. Per essere un meeting di pace che era stato sbandierato per la presenza qualificata dei ministri di 50-60 Paesi alleati Usa, sembra che sia stato molto più che un flop, almeno a livello di partecipazione.

Una nota a parte va riservata alla presenza a Varsavia di Jared Kushner, che oltre ad essere il genero di Trump è il promotore del fantomatico «accordo del secolo», cioè del piano di pace Israele-Palestina che sarà presentato dopo le elezioni israeliane del 9 aprile, nella prevedibile speranza che le vinca ancora una volta la coalizione di destra guidata da Netanyahu. Il piano, per ora segreto ma approvatissimo da Trump, sarebbe stato presentato in anteprima al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che però non ha fatto alcun commento. L’impressione è che anche Netanyahu sia ben poco interessato al piano Kushner, ma che lascerà come sempre ai palestinesi la responsabilità di rifiutarlo. Kushner, insieme al negoziatore Greenblatt e all’ambasciatore Friedman, hanno subodorato il rifiuto palestinese e il muro di gomma israeliano, ed avrebbero annunciato che secondo loro la pace fra israeliani e palestinesi si può fare anche senza il consenso delle autorità palestinesi. Paradosso ardito e provocatorio o nuovo record mondiale dell’effetto Dunning-Kruger, cioè di quel fenomeno enunciato dai due psicologi americani della Cornell University che si applica a «persone incompetenti che sono troppo incompetenti per comprendere la propria incompetenza?».

 

 

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