La pace e la violenza dell’economia

Dagli Usa all’Afghanistan alla ricerca di uscita dalla logica della guerra, a partire dalle spese per gli armamenti. Un appuntamento per quattromila giovani
Marcia pace

Erano attesi in mille e invece saranno oltre quattromila i giovani che da venerdì 23 settembre avvieranno due giorni di incontri a Bastia Umbra, nelle vicinanze di Perugia, preparatori della “marcia per la pace e la fratellanza dei popoli” secondo la dizione proposta da Aldo Capitini nel 1961 per condividere il tragitto di 24 chilometri tra Perugia e Assisi che unisce due città legate da una durissima inimicizia al tempo di Francesco che sperimentò un anno di carcere come prigioniero di guerra.

E tanti, troppi sono i conflitti che segnano la storia dell’umanità fino a ritenere la guerra non l’abominio da ripudiare ma un destino inevitabile che giustifica gli investimenti in armamenti sempre più micidiali.

 

Ad ogni edizione della marcia, che non ha cadenza annuale tanto che la seconda edizione si ebbe nel 1978, si raccolgono polemiche o commenti di sufficienza per dimostrare come la manifestazione sia una dimostrazione di ipocrisia oppure l’occasione per manipolare l’ingenuità dei partecipanti per finalità politiche di corto respiro. Ma il tradizionale spirito di apertura dell’evento, in cui possono anche trovare spazio personaggi alla ricerca di un’effimera visibilità, si spiega con la volontà di offrire uno spazio d una pluralità di esperienze e percorsi accomunati dall’esigenza interiore di «non accettare» il mondo così come è ma di cambiarlo, si saper leggere l’attuale «varco della storia» per ripetere le parole di Capitini stesso: «Tanto dilagheranno violenza e materialismo, che ne verrà stanchezza e disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppi della decapitazione salirà l’ansia appassionata di sottrarre l’anima ad ogni collaborazione con quell’errore, e di instaurare subito, a cominciare dal proprio animo un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il mondo ci è estraneo se ci si deve stare senza amore, senza un’apertura infinita dell’uno verso l’altro, senza un’unione di sopra a tante differenze e tanto soffrire».

 

Così quest’anno si annunciamo presenze significative di quella «non collaborazione alla violenza» a partire dai familiari delle vittime di Ground Zero a New York assieme a quelle dei bombardamenti sull’Afghanistan, e così dai Territori occupati palestinesi e da Israele, per continuare con Siria, Egitto, Tunisia, Algeria, Sahara,…

Ma evidentemente, come fanno notare i tanti promotori riuniti nella “Tavola della Pace”, sono questi i tempi dove la violenza estrema è quella che si consuma per mano di un sistema economico iniquo che «uccide più delle bombe», per ripetere la profetica analisi del messaggio della marcia del 1997, il tempo, cioè, in cui si credeva che la fine del blocco sovietico avrebbe prodotto i «dividendi della pace» e cioè la liberazione di un flusso inimmaginabile di risorse dedicate alla produzione di armi.

 

Quest’anno in particolare verrà rilanciata la campagna contro l’acquisto da parte dell’Italia, con uno stanziamento bipartisan di 15 miliardi di euro, di 131 JSF35, «cacciabombardieri con capacità di attacco profonde e con capacità di trasporto di bombe nucleari che non serve per la nostra politica estera ed il nostro modello di difesa e che viola l’articolo 11 della nostra Costituzione» secondo quanto afferma la Rete italiana disarmo.


 

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