La pace di Ada

Il fratello ucciso. L’odio per i poliziotti. Il coraggio di perdonare

A dire il vero, la protagonista di questa storia non si chiama Ada. La chiamiamo così per proteggerla, per permettere che la sua vita continui a viverla davvero, finalmente, in pace. Ho conosciuto Ada durante il meeting “Pulse”, organizzato dai giovani dei Focolari a Loppiano (Fi), dal 29 Aprile al primo Maggio 2017.

Ada, con suoi bei capelli neri ricamati in treccine, ha 25 anni e viene dall’Angola, per la precisione, dall’altopiano di Bié.  Quando le chiedo di descrivermi il luogo da cui proviene, mi dice che è un posto fresco, dove l’altitudine media si aggira intorno ai 1500 metri. È appena scesa dal palco, di Pulse, dove ha condiviso la sua storia con altri 550 giovani della sua età provenienti per lo più dall’Italia e dall’Europa.

«Un giorno, ricordo che era domenica – ormai sono trascorsi due anni – mio fratello ed altri tre amici sono andati al mare. Alla fine del pomeriggio, mentre ritornavano a casa, sono stati sorpresi da un gruppo di poliziotti che aveva l’ordine di portare in carcere i rivoltosi che trovavano in giro dopo le 18. Devi sapere che era un periodo difficile per il mio paese: c’era molta tensione, tanta violenza. Così, era stato stabilito il coprifuoco. Un mezzo per spaventare i delinquenti e, contemporaneamente, tranquillizzare la popolazione».

Ada si ferma, è evidente che le costa ricordare, per la seconda volta quel giorno, la sua storia. Cerco di aiutarla, chiedendole di suo fratello, che tipo era, se era un “ribelle”. «Mio fratello era un bambino allegro, a cui piaceva salire sugli alberi per riposare, per questo si allontanava spesso da casa, per poter stare in mezzo alla natura. Gli piaceva anche raccogliere la frutta e condividerla. Era un lavoratore, ha cominciato a 15 anni. Ha lavorato come muratore, poi come meccanico di moto e biciclette, ma sognava di diventare medico come nostro padre, per aiutare la gente».

Ada continua spiegandomi che il fratello non poteva sapere del provvedimento, perché era entrato in vigore proprio quella domenica, senza che la popolazione fosse stata avvisata. «Anche lui, non sapendo del coprifuoco, si era trovato per strada all’ora sbagliata. Così, è stato scambiato per un rivoltoso».

Ma invece di essere “spaventato” e portato in carcere, il ragazzo e i suoi amici subiscono una sorte diversa. «Erano passati tre giorni da quando era uscito di casa e, non avendo più sue notizie, siamo andati a cercarlo ovunque: negli ospedali, nelle carceri, nelle case dei nostri amici, nella spiaggia dove aveva detto che sarebbe andato, ma niente, nessuna traccia, sembrava scomparso. Alla fine di quel giorno, uno zio ci ha proposto di cercare nell’ultimo luogo in cui saremmo voluti andare: all’obitorio. E, purtroppo, lì abbiamo ritrovato il suo corpo».

È difficile per Ada condividere la sua storia, rivedere e rivivere le immagini brutte del corpo del fratello smembrato, crudelmente sfregiato e seviziato dai poliziotti. Ma abbassa lo sguardo e continua. «Doveva aver sofferto tantissimo prima di spirare! Con la sua morte, in me è nato un odio fortissimo verso i poliziotti che avevano commesso quelle atrocità contro mio fratello. Tutto quel dolore aveva creato un vuoto enorme dentro di me, che nessuno poteva riempire».

Eppure, Ada sente nel profondo che per andare avanti deve perdonare: «Sentivo che solo Dio poteva riempire quel vuoto dentro di me, e rendermi capace di una misericordia non umana. L’amore della comunità dei Focolari nella mia città, poi, è stato molto importante. Mi sono sentita amata, accolta e sostenuta ed è nato in me il coraggio di perdonare. Così, ho iniziato a riscoprire il dono della pace e a ricostruirla prima di tutto dentro di me fino ad arrivare a guardare ogni poliziotto con gli occhi e il cuore pieni di misericordia».

Li hai perdonati davvero, le chiedo. Ada alza lo sguardo – ora mi guarda negli occhi – la tensione sul suo viso si scioglie. I suoi occhi neri mi sembrano dolcissimi mentre mi risponde semplicemente: «Sì!».

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