La morte di JFK: il mistero dei file

I documenti rilasciati giovedì notte dall’archivio nazionale statunitense sono incompleti: mancano i testi dell’intelligence di Marina ed Esercito. Trump ha annunciato per alcuni un prolungamento di 6 mesi del segreto.

Quel mattino del 22 novembre 1963 a Dallas splendeva il sole. La folla non era infastidita né dal caldo né dall’attesa, né dall’annuncio funebre comparso su un quotidiano locale che denunciava i misfatti presidenziali e dava voce alle contestazioni che il Texas aveva e avrebbe riservato al suo Commander in chief. La gente assiepata su Dealey Plaza era protesa a conoscere la coppia d’America: John e Jacqueline, lui, il presidente della potenza occidentale per eccellenza, e lei, la principessa borghese. Erano in fondo quella coppia reale che gli Usa non avevano mai avuto e che segretamente invidiavano agli europei.

Quel giorno perfetto non implica la tragedia, la morte; e invece, alle 12.30, Lee Harvey Oswald, un ex marine, spara e uccide John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli Stati Uniti, ferisce il governatore del Texas e getta nello sconforto e nel sospetto una nazione e il mondo. Oswald viene ucciso due giorni dopo durante il trasferimento dalla prigione cittadina a quella della contea da Jack Ruby, un fervente sostenitore dei Kennedy che a sua volta morirà in carcere nel 1967. Due commissioni governative, decine di investigatori e giudici, 54 anni di studi e indagini non sono bastati a far luce sulla morte di JFK, che continua a essere al centro di misteri e passaggi oscuri che suppongono il coinvolgimento di mafia, Cuba, Paesi stranieri, complotti dietro cui si aggirano i servizi segreti che sembrano aver manovrato o comunque non aver impedito l’assassinio del loro presidente.

A distanza di 54 anni, l’Archivio nazionale, su ordine del presidente Donald Trump, ha rilasciato 2.800 file che dovrebbero spiegare passaggi e conclusioni delle indagini sull’assassinio di Kennedy al fine di chiudere con le accuse di cospirazione e le polemiche che periodicamente riaprono questo capitolo triste della storia statunitense. I documenti resi pubblici mostrano non poche lacune, anche perché la Cia e l’Fbi hanno fatto pressioni su Trump, costringendolo a ritardare di altri 6 mesi l’apertura di altri dossier che richiedono ulteriore revisione per «non minare la sicurezza nazionale»: etichetta che funge da scudo, in ogni tempo e su tanti temi, alle scelte impopolari delle amministrazioni Usa.

È noto agli studiosi e ai giornalisti che nel materiale rilasciato non sono presenti fascicoli che i servizi segreti hanno riconosciuto di aver distrutto. Non sono accessibili, poi, le indagini condotte da Esercito e Marina, ancora coperte dal segreto, ed è scomparso dagli archivi il famoso volume quinto sulla personalità dell’assassino che aveva vissuto nell’allora Unione Sovietica prima di tornare negli Usa. Il mistero copre ancora i file appartenuti a James Angleton, il capo del controspionaggio della Cia che sembrava avesse ricevuto dai servizi sovietici notizie sul possibile assassino di JFK. Ombre sono rimaste sulla figura di George Joannides, legato alla Cia, morto nel 1990, mai convocato a giudizio, eppure figura di rilievo in quei passaggi che vogliono Cuba coinvolta nella vicenda. Domande continuano a sorgere leggendo ad esempio la deposizione del 1975, di Richard Helms, ex direttore della Cia, a cui viene chiesto se Lee Harvey Oswald potesse essere considerato «un agente o un agente della Cia». Il documento de-secretato si conclude con la domanda, ma la risposta di Helms non è riportata.

«I file sui primi indizi dell’investigazione sono stati distrutti», ha dichiarato alla rivista Politico John Tunheim, giudice federale del Minnesota, che ha presieduto il consiglio di revisione dell’assassinio voluto dal Congresso dopo l’uscita del film di Oliver Stone JFK, dove erano riportate una serie di teorie cospirative sull’omicidio. Il giudice ammette che molte delle prove esaminate dal suo gruppo di lavoro avrebbero potuto trovare un riscontro diverso, a venti anni di distanza, in quei documenti di cui non si è, nel tempo, valutata l’importanza.

I documenti rilasciati sono comunque numerosi ed originale è stata la proposta del New York Times di coinvolgere i lettori nell’esame e nella lettura. Il quotidiano ha chiesto di segnalare ai giornalisti foto, passaggi, informazioni a loro parere interessanti e meritevoli di approfondimenti: un’inchiesta popolare e non riservata solo ad esperti che potrebbe trasformarsi in una saga nazionale. Le pagine rese pubbliche, a una prima lettura, più che rivelare nuovi dettagli sulla morte di Kennedy, aprono nuove prospettive sulla politica estera statunitense in quegli anni. Nei file, ad esempio, ci sono i piani del presidente per uscire dal conflitto in Vietnam; sono registrati i timori di Castro sulle possibili ritorsioni su Cuba dopo l’assassinio, le strategie del Pentagono per fronteggiare una possibile crisi politica internazionale. Gli Usa si trovano quindi non tanto a ritrovare indizi sull’assassinio del suo presidente, ma piuttosto a rivedere i ruoli e i limiti dei servizi segreti nella vita democratica del Paese e a riscrivere una pagina di storia contemporanea, con tanti spazi bianchi che possono ora essere riempiti: questi sono due compiti ben più ardui da consegnare al presente e ai posteri.

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