La guerra delle idee e l’Economia civile

La crisi (e i danni) del neoliberismo invita a recuperare concetti come fiducia, reciprocità, dono, felicità pubblica

La crisi della dottrina dominante da cinquant’anni anni, il neoliberismo, ci spinge a fare un bel viaggio nella storia del pensiero economico. A sorpresa, nel panorama editoriale italiano, Luigino Bruni, Paolo Santori e Stefano Zamagni ci donano Lezioni di storia del pensiero economico, Città Nuova, 2021.

Un pensiero critico oggi, per generare con creatività un cambio ormai impellente di paradigma, non può fare a meno di ripercorrere con questo testo, che sarebbe molto utile nei corsi di economia politica delle scuole superiori e delle università, le idee degli economisti del passato. Ci serve infatti una mappa concettuale solida e vasta per comprendere come ci siamo fatti imprigionare dal pensiero unico, pensiero mainstream. Certamente la via italiana e mediterranea dell’economia civile, può essere una prospettiva originale per elaborare nuove coordinate dopo la crisi evidente di quella anglosassone tracciata da Adam Smith. Possiamo pertanto recuperare concetti come fiducia, reciprocità, dono, felicità pubblica e cercare di costruire il futuro dell’economia.

Perché negli ultimi trent’anni è cresciuto l’interesse verso l’economia civile di Genovesi ed altri studiosi di fine Settecento, dopo due secoli di uscita di scena? Una ragione è nel fatto che l’economia neoclassica ha scelto i numeri ed i grafici dimenticando la parola. E una scienza che rinuncia alla parola perde in capacità di ragionamento e di persuasione di governanti e cittadini.

Poi si inizia a capire che non essere economisti americani, inglesi o tedeschi non significa essere arcaici e poco scientifici. Cresce infatti l’interesse verso la grande tradizione cooperativa in Italia, verso i distretti industriali ed il credito comunitario e solidale. Questa è esattamente la prospettiva dell’economia civile. «La grande sfida, culturale e politica insieme, del progetto dell’economia civile è quella di andare oltre il tradizionale modello dell’economia capitalistica di mercato, senza tuttavia rinunciare ai vantaggi che tale modello ha finora assicurato» (p. 336).

La crisi del cosiddetto turbocapitalismo, la quarta rivoluzione industriale spinge poi a riprendere in mano il paradigma dell’economia civile. Le nuove tecnologie convergenti come nanotecnologie, biotecnologie, ICT, scienze cognitive, determinano infatti la modificazione non solo dei processi produttivi ma anche delle relazioni sociali e della matrice culturale della nostra società.

Siamo in cambiamento d’epoca con una grande trasformazione del senso del lavoro umano, del rapporto tra mercato e democrazia, della stessa dimensione etica dell’agire umano. È in atto un processo di artificializzazione dell’uomo potenziando la sua mente e di antropomorfizzazione della macchina. Due modelli si stagliano all’orizzonte, quello dell’uomo- persona e quello dell’uomo- macchina. L’economia civile ovviamente si batte a favore del primo.

Poi, il tema delle enormi disuguaglianze sta demolendo la teoria liberista. Non è vero che, se ogni individuo è libero di agire, la società nel suo complesso ne trae beneficio. Questo presupposto ideologico neoclassico ha trovato una consapevole diffusione nell’opinione pubblica con la rivoluzione conservatrice degli anni Settanta del secolo scorso.

Marco D’Eramo spiega in Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi (Feltrinelli 2020), la gigantesca rivoluzione dei ricchi contro i poveri negli ultimi cinquant’anni. Imprese importanti degli Usa, Facoltà di Harvard, premi Nobel per l’economia, in luoghi precisi, hanno pensato, pianificato, finanziato e vinto una vera e propria guerra delle idee. La rivolta neoliberista dall’alto verso il basso ha coinvolto tutti i campi, dall’economia e lavoro a giustizia e istruzione.

È cambiata l’idea di libertà, di società, di famiglia, di noi stessi. È stato utilizzato ogni strumento: dalla rivoluzione informatica, alla tecnologia del debito. È cambiata la natura del potere: dalla disciplina al controllo di ogni aspetto della nostra vita. Risultato: l’1 % dei ricchi contro il 99% di ceti medi impoveriti, lavoratori precari, poveri relativi e assoluti in una gigantesca disuguaglianza

È pertanto ora di affermare un nuovo paradigma dopo la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia del 2020. Il ritorno di interesse per l’economia civile e sociale si può inquadrare anche in questo contesto culturale. Il dogma della mano invisibile con la concorrenza perfetta, contraddetto dalla realtà di asimmetrie informative, monopoli e oligopoli, crolla sotto gli occhi di tutti.

Viviamo in una società che ha finito per premiare l’avidità. L’ uso ideologico della meritocrazia e degli incentivi ha determinato la nascita di una élite contestata e di un esercito di scartati o demotivati.  Si comprende la necessità di tornare a parlare di bene comune, uguaglianza, giustizia benevolente nella prospettiva dell’economia civile, dopo decenni di individualismo sfrenato. Al mercato possiamo chiedere pertanto produzione di ricchezza ma anche sviluppo sostenibile e sviluppo umano integrale.

Mentre il mercato a-civile è poi compatibile con forme di autocrazia e di dittatura, l’economia civile esige un regime democratico autentico e prosperità inclusiva. Si avverte il bisogno di una concezione dell’economia basata su una solida etica dopo decenni di avidità e di indifferenza morale che ha coinvolto anche gli intellettuali, spesso silenti di fronte a gravi ingiustizie sociali. È evidente oggi che le teorie economiche non sono strumenti neutrali. Le analisi non sono separate dalle visioni.

L’uomo contemporaneo, deluso dalle ideologie del progresso, della tecnoscienza, sta riscoprendo l’importanza del “limite”. Da qui una ripresa di interesse per lo sguardo dell’economia civile. In Italia troviamo economisti con questa sensibilità anche in anni recenti, come Paolo Sylos Labini, Giorgio Fuà e Giacomo Becattini ma anche sociologi come Aldo Bonomi e Giuseppe De Rita.

 

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