La grande politica in tempo di crisi

Ore di convulse trattative tra nuovo governo e ritorno alle urne. Alcune questioni ineludibili di un necessario confronto nella società italiana
ANSA/ETTORE FERRARI

Come ogni trattativa che si rispetti, il tentativo di arrivare ad un governo M5S-PD, con l’aggiunta della pattuglia di LeU, resta in bilico fino al pomeriggio inoltrato di mercoledì 28 agosto. Si possono rincorrere le notizie su presunti vertici annunciati e poi smentiti o la gara sul toto ministri, ma i commenti assomigliano molto al vaticanista del profetico film di Nanni Moretti, Habemus papam, che confessa, dopo aver tentato qualche frase di rito, di non capirci più niente di fronte al caso della scomparsa di un pontefice appena eletto. In quella pellicola del 2011 è possibile rintracciare una vena autobiografica del regista romano che ha rifiutato di diventare leader della sinistra post Pci, dopo essere stato acclamato per aver espresso, desolato, nel 2002, la certezza che “con questi dirigenti non vinceremo mai”.

Il rischio di un governo fragile, con forti dissensi interni, rischia di passare alla storia come un tentativo di mantenere le poltrone messe in bilico da un nuovo vento politico. Incombono inoltre scelte decisive e difficili in sede di bilancio, la vera origine della rottura della Lega secondo alcuni, che solo un governo tecnico potrebbe fare senza paura di perdere consensi.

L’esecutivo ipotetico è stato ribattezzato con poca fantasia con i colori giallo rosso dopo quello giallo verde. Una definizione che appare forzata perché di “rosso” è rimasto poco, neanche le sedi storiche, nella scelta prevalentemente tecnocratica e liberal democratica del Pd. L’equiparazione del “verde” con la Lega ha reso evidente, finora, il fallimento  elettorale del partito ecologista che miete, invece, grandi consensi a livello europeo. Ma proprio nel campo delle politiche ambientali, se si confrontano le dichiarazioni, sembra rintracciarsi una possibile linea comune tra dem e pentastellati. Alla prova dei fatti si tratta di direttive che orientano le spesa pubblica e non restano confinate ad appelli bucolici. Per questo si tratta di green deal come di un nuovo patto capace di risollevare l’economia oltre l’ambiente, ma restano di intralcio  anni di polemiche su termini usati a sproposito come  “decrescita felice”  e “sviluppo sostenibile”.

Come già anticipato, l’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini, già presidente Istat, ha lavorato in questi anni per costruire una vasta alleanza tra soggetti sociali in grado di raggiungere gli obiettivi del millennio secondo l’Onu. Si tratta di un nome comparso tra i possibili ministri, se non premier.

Su questa scia può leggersi l’appello promosso dall’ex presidente delle Acli Gianni Bottalico, con il sostegno di altri come Becchetti e Magatti, per un governo  capace di affrontare la nuova questione sociale  (impoverimento e paura della classe media) adottando «un piano per il Paese di ampio respiro con adeguati investimenti: dalla messa in sicurezza dei territori e degli edifici dai rischi sismici e idrogeologici alla progettazione di infrastrutture ecosostenibili, dalla transizione energetica al sostegno alla ricerca scientifica e all’innovazione, dalla scuola alla sanità».

Una visione positiva e propositiva che non potrà non mettere in conto, comunque, di affrontare nodi irrisolti come la Tav in Val Susa e la gestione dell’Ilva di Taranto che hanno messo in difficoltà i 5 Stelle con i contraenti del vecchio contratto di governo (cioè la Lega) e ora devono rientrare in un accordo politico di legislatura, non più uno strumento da diritto privato, che esige una visione condivisa su alcuni punti strategici.  Quali, ad esempio, la scelta di buttare a mare non solo la tassa piatta uguale per tutti (Flat tax) voluta dalla Lega ma anche la versione più complessa del professor Nicola Rossi, economista liberista già consulente di D’ Alema, per riprendere il discorso interrotto sulla progressività fiscale e la tassazione della ricchezza sollecitato da un appello di personalità della sinistra sociale, da Tomaso Montanari a Marco Revelli.

Sembrano molto più vicine, invece, alla visione dell’ancora dem Carlo Calenda le tesi esposte, in questi giorni, dal patron della Rcs Umberto Cairo in una sorta di intervista manifesto pubblicato su Il Foglio, che prende di mira le norme introdotte dal Decreto dignità sul lavoro e quelle sul reddito di cittadinanza. L’ex dirigente di Publitalia che è riuscito a scalare la proprietà de “Il Corriere della Sera”, con l’evidente consenso dei grandi gruppi che lo controllavano, appare un possibile erede di quell’area finora occupata da Berlusconi ( appellato sempre con il titolo deferente di “dottore”) ma capace di andare oltre, come dimostra il pluralismo di posizioni ospitate dai programmi de La 7, la televisione di Telecom acquistata da Cairo che afferma di assicurare il lavoro, complessivamente, a 5 mila dipendenti diretti e altrettanti nell’indotto.

Si muove qualcosa, insomma, anche oltre i giorni convulsi di una crisi di governo, dall’esito incerto, scoppiata in pieno agosto.

Del tutto rimossi sembrano i temi complessi come la normativa sul fine vita che ha spaccato anche il Comitato nazionale di bioetica in vista della decisione che prenderà la Corte Costituzionale sul cosiddetto caso Cappato dopo aver esortato il Parlamento a trattare una questione decisiva sulla dignità umana. Non è possibile che Pd e 5 Stelle non siano chiamati a dare un segnale del metodo con cui affrontare argomenti così decisivi, dandoli per scontati, perché è significativa, su questi casi, la prevalenza della cultura radicale all’interno delle due formazioni politiche. Ed è giocoforza la strategia del leader della Lega a ergersi a difesa di alcuni valori.

E’ difficile riconoscere nell’originalità del mondo 5 stelle una traccia esplicita del personalismo cristiano, anche se Avvenire ha pubblicato, ad esempio, in prima pagina la lettera del senatore palermitano Steni Di Piazza che auspica un governo del bene comune degno di nuovi “liberi e forti”. Si presuppone, in tal senso, la riscrittura dell’intera normativa dei due decreti su sicurezza e immigrazione.

In campo dem, come si sa, è ancora presente l’eredità dell’esperimento ulivista con una componente cattolico democratica diluitasi nel tempo. E tuttavia le ultime elezioni europee hanno fatto emergere David Sassoli, eletto presidente del Parlamento europeo. L’ex giornalista del Tg1 ha saputo esprimere nel suo discorso iniziale una visione che risente delle radici lapiriane, confermate nel recente intervento al Meeting di Rimini dove ha fatto riferimento alla domanda che da giovane aveva posto a Giorgio La Pira sul significato dell’”escatologia del profondo”, spesso evocata dal sindaco di Firenze: «lui mi rispose che la storia è come un Oceano in cui sei in grado di cogliere le correnti quando affiorano, ma in profondità altre si preparano, si gonfiano, e scoprirne la forza prima che si manifestino è opera della politica. Della grande politica».

Saper riconoscere i movimenti profondi delle paure e delle attese che affiorano nella nostra società è un lavoro che può costituire un terreno di verifica e di incontro con tutti. Oltre il dilemma tra nuovo governo ed elezioni imminenti, senza disertare il tempo presente nella sua contraddizione e incomprensibilità.

 

 

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