La grande industria indiana contro Modi

Rahul Bajaja, uno dei maggior industriali indiani, accusa il governo di aver creato un clima di paura nell’intero Paese

Bajaj è il nome di un colosso industriale indiano, legato soprattutto alla collaborazione con la Piaggio, con la quale ha dato vita alla produzione della Vespa in India, insieme alla creazione del modello di auto-rickshaw, i tre ruote che invadono a milioni il subcontinente. Ma Bajaj non è solo questo. Si tratta di un conglomerato di 37 ditte (Bajaj Group of Companies) con uno sventagliamento che va dalla produzione di articoli elettrici – soprattutto ventilatori, condizionatori e frigoriferi – a investimenti finanziari. Il suo fondatore, Jamnalal Bajaj, è stato molto vicino al Mahatma Gandhi ed è considerato un eroe dell’indipendenza indiana. La dinastia è fiorita nel corso dei decenni e oggi il pronipote Rahul Bajaj, un uomo molto attivo nonostante abbia superato l’ottantina, è un politico oltre che un industriale. In questi giorni, questo Bajaj ha riempito le testate dei giornali e i canali televisivi indiani con una sfida aperta al governo fondamentalista del Bharatya Janata Party (Bjp). Lo ha accusato pubblicamente di aver creato un clima di paura all’interno della più grande democrazia del mondo. Ma spieghiamo qualcosa in più della situazione attuale per capire il senso di quanto accaduto.

Rahul Bajaj

Rahul Bajaj è un personaggio di spicco nel panorama indiano. I Bajaj, infatti, sono una delle famiglie di industriali che hanno fatto la storia dell’India recente, insieme ai Tata, ai Birla e ai Godrej, tanto per fare dei nomi. Si tratta di grandi conglomerati industriali che hanno saputo non solo garantire una crescita economica del Paese, ma anche, fin dai tempi delle loro fondazioni, assicurare una ricaduta degli utili sul territorio e popolazione locali. Sono, infatti, gruppi industriali ancora di carattere familiare che hanno coniugato con successo il business e le attività industriali a quelle filantropiche, educative, assistenziali e alla promozione della donna. La storia dei Bajaj parte nei primi decenni del XX secolo con Jamnalal Bajaj, che sarebbe stato considerato da Gandhi come il suo quinto figlio. Jamnalal era nato in una famiglia di Marwaris, comunità originaria del Rajasthan, nota per la capacità negli affari, anche se la famiglia in cui vide la luce non era ricca e, dopo la morte precoce dei genitori, fu adottato da una coppia e, con il passare degli anni, si inserì nella ditta della loro famiglia. Nel 1926 fondò la Bajaj, che iniziò a crescere diventando il gigante che è oggi.

Rahul – che rappresenta la terza generazione della dinastia Bajaj – ha continuato nei decenni scorsi gli interessi di famiglia, come pure le varie attività sociali e filantropiche, distinguendosi anche come uomo politico, stimato e rispettato. Noto per il suo coraggio è sempre stato apprezzato per la sincerità e chiarezza unitamente a una grande sobrietà. È alla guida del colosso dal 1965, quando lo rilevò poco più che trentenne. Dal 2006 si trova in Parlamento ed è annoverato fra i 700 uomini più ricchi del mondo. È una personalità capace di parlare con autorità anche per la coerenza che ha mostrato nella sua lunga vita – oggi ha superato gli ottanta – e per la credibilità che la sua ditta ha acquisito in un secolo di storia. Nei giorni scorsi Bajaj nel corso di un evento pubblico organizzato dall’Economic Times, al quale erano presenti numerosi ministri e uomini politici, ha accusato senza mezzi termini il ministro degli Interni, Amit Shah e il suo partito – lo stesso del primo ministro Narendra Modi – di aver creato una paura diffusa nell’intero Paese e ha insistito che tale clima deve assolutamente essere eliminato.

In effetti, da sempre Modi si è mostrato abile, con la sua brillante retorica, nel far credere quanto l’India, con l’attuale governo guidato dal Bjp, faccia registrare una crescita costante a livello economico e di come si siano raggiunti una serie di successi a cui mai erano arrivati i governi precedenti. Il primo ministro ha cercato a più riprese di accattivarsi le simpatie e l’appoggio politico e finanziario dei grandi gruppi industriali con i quali pretende di avere un rapporto privilegiato che assicura una copertura al suo potere politico. Inoltre, si è mostrato abile nell’attirare investimenti stranieri e nei suoi viaggi all’estero – soprattutto in Europa e negli Usa –, è stato capace di proiettare una immagine di un Paese aperto e ospitale a fronte di una situazione grave di discriminazione avvertita dalle minoranze religiose (soprattutto cristiani e musulmani) e sociali (gruppi tribali e di fuori casta).

Ciò che più preoccupa, tuttavia, è il clima di paura e tensione che si è instaurato nell’intero sub-continente, dove, spesso, non mancano episodi intimidatori contro chi mostra di non essere in accodo con il governo del Bjp e le sue politiche. Nel luglio scorso aveva fatto scalpore la morte di un magnate del caffè nel Sud-India, suicidatosi perché ridotto quasi al fallimento da una politica aggressiva nei suoi confronti proprio da parte del Bjp, al quale l’industriale non faceva mistero di opporsi. Senza fare nomi nel corso del suo intervento, Bajaj ha parlato del caso dell’ex-ministro delle Finanze Chidambaram, politico del Congresso di lungo corso, più volte ministro, figura nota e stimata in India e all’estero, che è stato incarcerato tre mesi fa.

Nel corso della sessione aperta al dialogo l’industriale indiano si è rivolto con fermezza all’attuale ministro dell’interno, Amit Shah, affermando:

«Abbiamo paura. Questo clima si è impossessato delle nostre menti, ma nessuno ha il coraggio di parlarne, nessuno dei miei amici industriali. Lo dico apertamente. Non si tratta solo di negare quanto affermo. Attendiamo una risposta. Si tratta di creare un tipo di ambiente diverso, un ambiente pulito».

L’industriale ha poi riconosciuto come il governo sia impegnato a risolvere il problema dell’inquinamento atmosferico di Delhi, ma come sia cruciale lavorare a purificare l’ambiente generale del Paese in cui si respira paura. Vari ministri del gabinetto Modi – e fra questi spicca Nirmala Sitharaman, ministro delle Finanze – si sono subito fatti sentire sia con repliche che sui social sottolineando il fatto che in India ci si possa esprimere contro il governo nei termini e modi in cui lo ha fatto Rahul Bajaj, il che dimostra la libertà di opinione e di espressione che vige nel Paese.

L’intervento di Bajaj ha suscitato una vasta eco e, soprattutto, un dibattito a forti tinte polemiche. Ha, di fatto, apertamente smentito la retorica di Modi che da anni insiste ad affermare di avere l’intera classe dei grandi conglomerati indiani dalla sua parte. Il mondo della finanza e del business in India, infatti, sa bene che la situazione economica e finanziaria del Paese non è più nelle stesse condizioni floride di alcuni anni fa e nemmeno la retorica del primo ministro e la politica a volte violenta dei suoi colleghi di partito e dei simpatizzanti della ideologia hindutva possono convincerlo del contrario.

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