La fraternità, di nuovo

Dibattito a Roma sul documento firmato dal papa e dall’imam Al Tayyeb ad Abu Dhabi. Un passo ulteriore nel dialogo islamo-cristiano e interreligioso. Una parola che sta bene sulla bocca sia dei musulmani che dei cristiani

Sullo sfondo c’era lui, Paolo Dall’Oglio, il gesuita italiano scomparso il 29 luglio 2013 a Raqqa, nel nord della Siria, dove si era recato per svolgere, come aveva lasciato detto ai confratelli, «un difficile compito di mediazione». Secondo il quotidiano libanese al-Akhbar, il gesuita sarebbe vivo, e i negoziati per la sua liberazione «si sarebbero intensificati negli ultimi tre giorni». Un accordo di massima tra il Daesh e le milizie curdo-arabe delle Forze democratiche siriane (Fds) sarebbe già stato raggiunto, ma la sua attuazione avrebbe subito un rallentamento a causa di alcune «complicazioni». Si vedrà, finora non è stata data nessuna prova della permanenza in vita del gesuita di Mar Mousa, ma la speranza è l’ultima a morire.

Non a caso sullo sfondo c’era lui, perché il dibattito organizzato nella chiesa di San Francesco Saverio del Caravita, a un mese dalla “Dichiarazione sulla fratellanza umana”, firmata da papa Francesco e dall’imam dell’Università di Al-Azhar, Ahmad Tayyeb – grazie ad Articolo21, al Centro Astalli, alla Fnsi e all’Ucsi, e ai Giornalisti amici di Paolo Dall’Oglio (di cui Riccardo Cristiano, ex-giornalista Rai è il motore primo) –, aveva come focus proprio quella necessità di fraternità nel dialogo interreligioso e interculturale che il gesuita romano appassionato di relazioni islamo-cristiane aveva in cuore.

Si è parlato di «un nuovo inizio della fraternità», in una riflessione comune sui contenuti, e della valenza epocale di un documento che rimuove barriere e segna per credenti e non credenti un possibile nuovo inizio di fraternità in un’epoca di lacerazioni.

Sotto gli impressionanti dipinti della mostra “Exodus”, di Safet Zec, artista bosniaco rifugiato in Italia, i relatori hanno voluto parlare di fraternità nelle relazioni interreligiose. Per chi, come il nostro giornale e altri gruppi cristiani, da sempre parla di unità e di fraternità (ricordiamo i grandi artefici dell’uso della parola fraternità nel dialogo interreligioso, da Raimon Panikkar a Chiara Lubich, a mons. Teissier, molto prima di altri gruppi e tendenze che più tardi le hanno fatte proprie), la cosa è apparsa normalissima e il titolo quasi stridente, perché la fraternità nel dialogo interreligioso è presente da almeno mezzo secolo, non è “nuova”.

Altri, invece, nel corso della conferenza hanno pronunciato il termine con un certo imbarazzo – il termine “fraternità” è stato in effetti bandito dal vocabolario della grande stampa laica di origine in qualche modo socialista e marxista –, e tuttavia con il sentimento di una certa liberazione per un elemento che porta al cuore dell’umanità.

In questo senso, la persona più a suo agio nel parlare di fraternità nel corso del dibattito è stato non un cristiano, ma il musulmano Izzedire Elzir, imam di Firenze, a lungo responsabile dell’Ucoii in Italia, visto che più di trent’anni fa aveva “bevuto” tale spirito di fraternità al Centro La Pira dove studiava la lingua italiana. Ha ricordato un sermone in cui si era spinto a parlare di «amore per il fratello», suscitando la reazione degli astanti che gli rimproveravano una tale affermazione, «perché i cristiani e gli ebrei vanno rispettati ma non amati»: ma Elzir provò ai suoi confratelli musulmani che nel Corano non c’è un solo versetto che dica di non amare i fratelli ebrei e cristiani.

Toccante anche la testimonianza del deputato libanese Fares Souaid: «Bisogna parlare dei problemi con coraggio, riconoscere che la crisi è globale e non religiosa, che la mancanza di regole non è data dalla religione, ma dallo smarrimento dell’uomo, e che le differenze non vanno cancellate, ma valorizzate».

È stato merito del direttore della Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro, ricordare un’espressione ripetuta da Francesco ad Abu Dhabi: «L’ossigeno della fraternità». Effettivamente nel dialogo interreligioso la fraternità accettata, rispettata e vissuta è essenziale quanto l’ossigeno, perché senza di essa il rapporto tra fedeli di religioni diverse si riduce a sterile dibattito tra studiosi di teologia e di Scritture, o diventa buonismo senza costrutto, di facciata. Il documento di Abu Dhabi, in questo senso, è una “ripartenza” nel dialogo islamo-cristiano grazie alla “sempre nuova” fraternità.

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