La fraternità di don Zeno

A trent'anni dall'anniversario della morte, il 15 gennaio 1981, abbiamo chiesto a Pino Quartana, un ricordo del fondatore di Nomadelfia, appassionato del Vangelo e dei piccoli
Don Zeno

Sono trascorsi trent'anni dalla morte di don Zeno Saltini, fondatore della comunità di Nomadelfia. Era il 1941 quando questo sacerdote cominciò a raccogliere i bambini e i ragazzi abbandonati nei pressi di Modena. Alcune ragazze, poi, cominciarono a seguirlo per accudire i piccoli, scegliendo la vocazione di mamme. A queste si unirono in seguito varie famiglie. Da lì è nata un'opera, che pur con un percorso travagliato, continua a proclamare un Vangelo concreto e attento ai piccoli.

 

Pino Quartana, già delegato internazionale di Umanità Nuova, diramazione sociale del movimento dei focolari, ha conosciuto don Zeno, da vicino. Gli abbiamo chiesto un ricordo.

 

"L’ho conosciuto a Milano.  Studiavo filosofia, ma non mi soddisfaceva.  Sono rimasto colpito dalla sua predicazione: veramente potente. Mi ha insegnato un vangelo molto concreto: dare una minestra ai bambini, dargli una mamma e un papà. Questo vangelo mi ha affascinato per cui l’ho seguito e per un certo periodo, appena compiuti i 21 anni mi sono trasferito nella comunità di Nomadelfia. E lì che l’ho conosciuto sul serio: una personalità sanguigna, ma anche un santo totalmente donato alla sua missione.

 

Nomadelfia vuol dire città della fraternità e lui voleva fare di tutta la Chiesa, una fraternità, per cui aveva idee profetiche. Questo però lo ha messo in contrasto con le gerarchie ecclesiastiche e anche con la stessa DC. Spesso magari andava nelle piazze e parlava contro una modalità un po’ antica di essere Chiesa. Erano gli anni ’50 e non c’era ancora stato il Concilio. E poi per nutrire questi ragazzi aveva contratto tanti debiti e magari c’erano anche dei processi, insomma ha trovato tante resistenze. Ma la sua opera c’è ancora e resiste e Giovanni Paolo II l’ha approvata. Sento che bisognerebbe riproporre lo slancio universale alla fraternità che lui aveva. E’ stato un incontro fondamentale della mia vita, mi ha aperto al Vangelo, ad una visione della carità, dell’amore del prossimo straordinaria e per questo ha pagato di persona.

 

Don Zeno era capace di parlare con tutti, di dialogare e talvolta disputare anche con i comunisti, in un periodo particolarmente travagliato. A Milano tanti giovani di bella famiglia hanno piantato tutto per seguirlo creando scalpore e quasi un’insurrezione tra le famiglie bene, tra questi giovani c’era anche la figlia di Pirelli. Lui era una persona straordinaria, di poche parole, ma fortissimo e sapeva arrivare al cuore, per questo il film che racconta la sua vita mi ha deluso: sentire recitare quelle sue prediche, non è la stessa cosa di sentirle dal vivo. Lascia a tutti noi un messaggio di carità grandissimo, come del resto era la sua anima, quella di una persona tutta di Dio”.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons