La Fiat “attore globale” senza Termini Imerese

I parroci della città, sede di uno dei più grandi stabilimenti del gruppo Agnelli, invitano a manifestare con i sindacati e denunciano la «sofferenza ingovernabile» dei lavoratori che dopo la decisione della multinazionale di abbandonare la produzione in Sicilia non vedono prospettive per il futuro
Termini Imerese

Ormai parliamo anche a Termini Imerese di una ex Fiat che ha cambiato nome (Fiat Chrysler Automobiles – Fca) e che sta definendo una nuova sede centrale, mentre già da tempo non paga  i contributi associativi di Confindustria, da cui è uscita, e si accinge a versare le sue tasse sulla piazza londinese, perché più vantaggiosa per gli azionisti. Nella strategia internazionale si tratta di una prassi comune per un nuovo attore globale, come ha affermato il presidente del Consiglio Enrico Letta: «Quello che conta sono i posti di lavoro, le macchine vendute e la competitività di questo nuovo grande soggetto».

In questa ridefinizione della geografia industriale orientata alla competizione tra i colossi dell’automobile, è rimasto a terra proprio lo stabilimento siciliano che con i suoi 1200 dipendenti diretti e almeno il triplo nell’indotto, è già scomparso di fatto dalla scena produttiva. Le ipotesi di riconversione industriale (come l’assemblaggio di auto cinesi tramite la molisana “dr motor company”), raccolte dall’agenzia pubblica Invitalia, non hanno dimostrato di portare a concrete prospettive.

D’altra parte è difficile attirare nuovi investitori dopo che, per giustificare il trasferimento della produzione in Polonia, si è voluta accreditare l’immagine dei lavoratori siciliani intenti più a seguire la partita della nazionale che la produzione. Ma la pratica non può ritenersi chiusa una volta per tutte. La cassa integrazione finisce a giugno del 2014 e venerdì 14 febbraio è previsto a Roma presso il ministero dello Sviluppo economico un nuovo tavolo tra governo, azienda, enti locali e sindacati. Stamattina a Termini Imerese una grande manifestazione si annuncia come l'ultimo grido che arriva dal Sud e trova uniti i parroci della città siciliana agli uomini e donne di buona volontà nel «partecipare e  far partecipare le persone che incontrerete, certi che il Signore non delude le speranze del popolo che lo invoca con fiducia».

L’appello segue la lettera, firmata dal sindaco e dai sindacati metalmeccanici assieme a don Francesco Anfuso, rivolta, in prima persona, a Letta, ricordando all’attuale presidente del Consiglio che «la storia risale al dicembre del 2009 quando il governo prese atto, a Palazzo Chigi, del piano industriale di Fiat presentato da Sergio Marchionne, e contestualmente la cessazione dell'attività produttiva dello stabilimento di Termini Imerese. La chiusura sarebbe stata affrontata e risolta al tavolo di crisi che venne istituito presso il ministero dello Sviluppo. Ad oggi, quattro anni dopo il drammatico annuncio, la soluzione non c'è». Infatti nella riunione di fine gennaio tenutasi al ministero dello Sviluppo economico «è emerso un dato preoccupante, la palese ammissione da parte di Invitalia del fallimento del piano di reindustrializzazione dell'area di Termini Imerese avviato nel 2009: non è stato impegnato a oggi un solo euro e non ci sono manifestazioni di interesse esecutive da qui a 36 mesi».

Nella forte istanza che arriva da Termini Imerese  si invita il governo a chiedere alla «Fiat di ricercare una missione produttiva per lo stabilimento in seno al comparto dell'automotive. Questo è possibile anche perché i lavoratori di Termini Imerese sono a pieno titolo dipendenti di Fiat e della Magneti Marelli e oltretutto gli impianti produttivi siciliani sono pienamente funzionanti e pronti alla ripartenza. Il grande processo di fusione con Chrysler può e deve riservare questa opportunità».

I parroci siciliani si fanno portavoce dei «bisogni di donne e uomini delle nostre comunità, che ormai giunti allo stremo danno segni evidenti e inquietanti di sofferenza, la quale in questi ultimi giorni è diventata sempre più ingovernabile» e perciò come cristiani «ci sentiamo chiamati ad agire, ad operare per il bene nostro e dei nostri figli. È in gioco il futuro dei nostri paesi, delle nostre famiglie. Non possiamo e non dobbiamo rimanere immobili, senza lavoro non c’è futuro».

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