La famiglia alla prova della sterilità

Nei Paesi industrializzati quindici coppie su cento non riescono ad avere figli. Le cause? Età avanzata, stress, malattie, problemi congeniti, difficoltà economiche

Quando si contempla la nascita di un bambino, spesso si parla di miracolo della vita e ciò, sicuramente, per mettere in evidenza la meraviglia che c’è dietro ogni nascita, dietro l’affacciarsi di un nuovo uomo sulla terra. Ma di certo, si parla di miracolo anche per la complessità, pur nascosta, di tutte le condizioni chimiche, biologiche, psicologiche e sociali, indispensabili perché un ovulo possa essere fecondato da uno spermatozoo, dando così origine a una nuova vita.


Spesso questo prodigio viene dato per scontato; a volte l’arrivo di un figlio è temuto, considerato un rischio da ridurre se non addirittura da scongiurare; in altri casi, invece (e purtroppo nelle nostre società industrializzate sempre più spesso), l’arrivo di un figlio è atteso, desiderato e, per alcuni, impossibile da realizzare, tanto da far invocare un vero miracolo per ottenerlo.
 

Nei Paesi dell’Occidente industrializzato il 12-15 per cento delle coppie in età fertile è sterile, a differenza della situazione nei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, dove questa condizione riguarda solo il 3 per cento della popolazione. Questo dato, da solo mette in evidenza l’importanza degli aspetti sociali che interferiscono pesantemente su un aspetto così delicato e intimo della vita di una coppia. 
 

L’influenza dello stile di vita è molto evidente nel condizionare la fertilità, primo fra tutti l’età. Sia per la donne che per gli uomini l’aumento dell’età media nella quale si comincia a pensare a un figlio riduce drasticamente le possibilità di gravidanze. Anche in assenza di patologie, l’età matura da sola comporta una riduzione della fertilità.
 

Ci sono poi, le difficoltà economiche che le giovani coppie incontrano per le basse retribuzioni, per gli affitti improponibili e per le condizioni di vita delle grandi città poco a misura d’uomo. Pensandoci bene, non ci sorprendono questi dati, ci coinvolgono però le storie concrete, la vita di molti, come Francesco e Alessandra: lui, una laurea e  alcuni contratti di collaborazione saltuari, lei un contratto a tempo indeterminato, che è la garanzia per sostenere concretamente la famiglia. Dopo il matrimonio, avvenuto intorno ai 30 anni di entrambi, il rinvio del tempo della gravidanza per stabilizzare il lavoro di lei e non creare problemi in ufficio. Quando finalmente si definiscono le condizioni per quel figlio desiderato, entusiasmo, attesa e progetti, ma poi la gravidanza non arriva, il tempo passa e quello che all’inizio è solo un sospetto, dopo esami clinici per entrambi, diventa la certezza: un problema ormonale di Alessandra che impedisce l’ovulazione. Terapie, a volte invasive, non risolvono il problema e anche questa coppia si trova a convivere con una sofferenza inattesa, che  cambia e mette a dura prova l’amore che si deve misurare con questa “assenza” che sembra schiacciare.
 

Naturalmente ci sono anche altre cause della sterilità, quelle legate a malattie croniche come il diabete o l’obesità, a terapie antitumorali o all’uso di sostanze stupefacenti. Si parla poi anche di inquinamento e stress: è osservazione comune delle donne, una sospensione naturale dell’ovulazione in situazioni di stress particolarmente accentuate.

Esistono poi anche le patologie congenite, come nel caso di Michele e Serena, due giovani che hanno tutte le condizioni esterne a posto: casa di proprietà, lavoro ben retribuito per entrambi, apparente buona salute e un solo problema: dopo 2 anni di matrimonio ancora nessuna gravidanza. Anche qui l’iter è sovrapponibile a quello già presentato, un cammino faticoso fatto di analisi complesse, costose, lunghe e invadenti: fino alla comunicazione della diagnosi, all’inizio difficile da credere, perché totalmente asintomatica: oligo astenospermia severa (notevole riduzione del numero degli spermatozoi presenti nel liquido seminale associata ad una riduzione della motilità di quelli residui), forse provocata da un varicocele non riconosciuto. Si effettua un intervento chirurgico, ma ormai a distanza di 2 anni non si è avuto alcun risultato.
 

In queste situazioni, oltre al dolore acuto, che si fa strada nell’esistenza della coppia, si aggiungono anche le attese dell’entourage familiare, i genitori cominciano a sospettare qualche problema, ma per pudore evitano di parlarne; nella coppia si rischia di entrare in un mutismo difficile da sbloccare. Gli amici che si sono sposati nello stesso anno, uno ad uno, cominciano ad avere figli e ogni volta condividere la loro gioia diventa sempre più penoso. Per non soffrire spesso si evita di incontrare altre coppie con figli, col rischio di rinchiudersi nel proprio dolore.
 

Dopo la diagnosi di sterilità, nel 70 per cento dei casi sarà possibile intervenire con terapie ormonali e/o chirurgiche e in alcuni casi anche con un buon supporto psicologico. Nel 30 per cento però non sarà possibile giungere naturalmente alla nascita di un figlio.
 

E a questo punto è immediata la domanda sul che fare, su come dare corpo a questo desiderio legittimo di vita che è un figlio. Le opzioni sono diverse per ciascuna coppia, che deve fare i conti con la propria storia, sensibilità e condizioni oggettive, ma non tutte sono equivalenti sul piano etico e sulle ricadute nelle dinamiche sociali e familiari. 
 

Ancora in questi giorni sui giornali si è tanto parlato di procreazione medicalmente assistita, un insieme di tecniche diverse che hanno però in comune un pesante intervento dei medici che, in alcuni casi, giungono a selezionare e manipolare gli embrioni creati in provetta. Si tratta  di procedure costose, invasive e piene di dilemmi etici, che riempiono di ulteriori attese e speranze le vite di chi fa l’esperienza della sterilità; speranze che spesso vanno deluse, dato che la percentuale di successo di queste metodiche si attesta intorno al 22- 25 per cento dei cicli iniziati. E quando si sperimenta il fallimento si parla di lutto della maternità biologica: l’acquisizione di consapevolezza della definitiva impossibilità di riuscire a generare un figlio.
 

L’adozione può essere la risposta a tutto questo dolore, la disponibilità ad accogliere e fare casa ad un figlio che già c’è e attende di vivere in una famiglia, tenendo presente che anche questa strada non è priva di difficoltà, attese e a volte delusioni. 
 

La disponibilità a adottare un figlio, però, ci dice che la biologia non è tutto e che la genitorialità si impara nella quotidiana esperienza  di un amore che genera, prima di tutto, chi lo dona e fa crescere tutti.

Perché una cosa che si sperimenta presto, anche quando si hanno figli, è che la fecondità è ben altra cosa della fertilità; è una dimensione che chiama in causa la propria capacità di essere-per gli altri, di mettersi al servizio, generando persone capaci di costruire una società a misura d’uomo.

 

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