La Dichiarazione di Beirut sulla libertà religiosa

Un documento che è passato quasi inosservato e che invece potrebbe costituire un interessante punto di riferimento per musulmani e cristiani
Libano

Il 20 giugno scorso l’associazione delle “Makassed islamiche”, vicina a Dar el-Fatwa, organismo di riferimento ufficiale dei sunniti del Libano, ha pubblicato “Dichiarazione di Beirut sulla libertà religiosa”, un documento di tre pagine che è stato accolto molto positivamente dai circoli intellettuali libanesi cristiani.

I Makassed sono la più antica e la più importante associazione sunnita in Libano. Sono stati fondati 137 anni fa ed annoverano scuole in tutto Paese, una università, delle moschee, ospedali ed istituzioni culturali. La dichiarazione è dunque importante non solo per il suo contenuto, ma anche in ragione della piattaforma da cui è stata lanciata. I Makassed recentemente, hanno creato una forma di coordinamento con il gruppo cristiano di Saydet el-Jabal, del quale fanno parte gli ex deputati Samir Frangié e Farès Souhaid. L’accordo spera di arrivare a consolidare i risultati raggiunti nella cultura comune del Paese e a difendere la convivenza, a lungo tipica caratteristica del Libano, oggi ormai fragile a causa dagli estremismi religiosi e politici sorti sia tra i musulmani che tra i cristiani. Alcuni dei promotori della Dichiarazione hanno ammesso di aver nutrito la speranza che la società libanese tradizionalmente aperta e liberale, grazie alla sua composizione multiculturale, fosse al sicuro dai pericoli dell’estremismo religioso e del fondamentalismo islamico. Il problema è, invece, profondamente radicato in particolare tra i giovani, sebbene ancora in ragione minoritaria e largamente limitata.

La recente “Dichiarazione di Beirut” cerca di mettere a fuoco e chiarire questioni  in materia di dottrina islamica su temi come il riconoscimento della libertà di fede e dell’ insegnamento religioso, il rispetto della libertà di coscienza, il rispetto della dignità dell’essere umano in quanto tale, il diritto alla differenza, il rispetto del pluralismo, il diritto alla partecipazione politica e sociale, la costruzione di uno Stato civile, il rispetto della Carta dei diritti dell’uomo, l’impegno per un Libano unito e democratico.

La “Dichiarazione di Beirut” è stata adottata al termine del “Congrsso islamico dei Makassed”. I relatori sono stati Hicham Nachabé, rettore della Università dei Makassed, Mohammad Sammak, figura nota nell’ambito del dialogo islamo-cristiano e Radwan Sayyed, ricercatore e pensatore. Proprio Sammak ha affermato che la Dichiarazione è un breve compendio dottrinale, a cui tutti possono accedere facilmente, che mira a correggere alcuni aspetti del pensiero islamico caratterizzato in Libano dal disordine più totale in materia di insegnamento religioso musulmano. Nella Dichiarazione figurano concetti come il rispetto della libertà di coscienza. E questo, secondo il leader religioso libanese, ha una importanza vitale. «E’ un concetto al cuore della cultura cristiana e della teologia propriamente detta. I cristiani non sono abituati a sentirci parlare di libertà di coscienza. Parliamo piuttosto di libertà religiosa. Ma la libertà di coscienza va oltre».

Il documento, inoltre, afferma chiaramente che «non esiste nell’islam uno Stato islamico o uno Stato teocratico», perché l’islam non prevede alcun regime politico preciso. Sammak ha anche dichiarato di aver provocato “l’indignazione di tre sceicchi, che si sono ritirati dalla conferenza, affermando che la fede musulmana è incompleta senza il riconoscimento della fede cristiana, perché i cristiani credono, come i musulmani, in un unico Dio”. “Bisogna combattere l’estremismo dall’interno dell’islam stesso” ha insistito Mohammad Sammak. Non ci si può accontentare col dire: questo non è islam. Bisogna convincere i musulmani con argomenti tratti dalla fede musulmana, dal Corano”. L’estremismo, infatti, – secondo il leader musulmano libanese – si infiltra nella società musulmana attraverso vie capillari, difficili da controllare. I suoi dogmi si diffondono attraverso un insegnamento religioso “sotterraneo” impartito da uomini gli spiriti dei quali sono formati da una cultura che esclude il “diverso”.

L’estremismo islamico e le atrocità che lo accompagnano rivelano la crisi culturale ed intellettuale che colpisce il mondo musulmano. E’ una crisi che non tocca solo il mondo arabo. Negli ultimi anni si sono svolte e continuano svolgersi congressi e conferenze per chiarire – e distinguere – ciò che è dell’islam e ciò che non lo è, e diffondere una cultura musulmana “moderata e illuminata”, per riprendere una terminologia riconosciuta. Il compito non è facile e suscita dibattiti spesso accesi proprio all’interno del mondo dell’Islam.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons