La democrazia c’è, ma con tanti interrogativi

Daniela Maccari, comboniana a Quito, analizza la situazione del Paese dopo il presunto sequestro del presidente. Dal sito di Netone
Presidente dell'Ecuador Rafael Correa

I fatti accaduti al presidente dell’Ecuador Rafael Correa continuano a interrogare l’opinione pubblica che si esprime nei diversi programmi radio, nelle lettere ai giornali e nelle reti di Facebook e Twitter. La democrazia c’é, certamente, ma ogni tanto sembra eclissarsi, come quando si discute e approva una legge (vedi l’autonomia delle università che non trova consenso in nessuna istituzione educativa, o quella dei mezzi di comunicazione che mantiene in stato di allerta tutto il mondo della comunicazione) o, quando nei suoi discorsi del sabato, “enlaces sabatinos” il presidente si lascia andare a un linguaggio farcito di prepotenza e insulti.

 

Un momento particolare in cui la democrazia viene meno, per forza maggiore, é lo stato di emergenza (Estado de Excepción) decretato ed entrato in atto per cinque giorni da ieri pomeriggio, che tra le varie limitazioni ai diritti, innesca anche un’informazione limitata.

 

Questo ha permesso – secondo gli osservatori della comunicazione nel Paese – che mentre i mezzi privati, nella mattinata, davano copertura ad un fatto, la rivolta della polizia e le sue rivendicazioni, l’informazione ufficiale, nel pomeriggio, ha invaso tutti i canali (cadena nacional) puntando, sull’ipotesi di un golpe, notizia che si é imposta nella stampa internazionale e alla quale i diversi capi di Stato hanno reagito con una dichiarata presa di posizione a favore del presidente Rafael Correa, come se qualcuno stesse cospirando contro di lui, come accadde in Honduras con il presidente Zelaya.

 

A questa ipotesi, ricorrente in tanti discorsi e della quale il presidente si dichiara vittima, le categorie sociali del paese sono abituate, per cui non si lasciano né impressionare né distogliere dalle loro rivendicazioni. Uguale è la reazione delle persone quando, molto spesso, sono accusate di ingratitudine da parte di un governo che ha programmato e messo in marcia una “revolución ciudadana”, con l’approvazione di leggi che non trovano il consenso nell’Assemblea parlamentare e contro le quali scendono in piazza le stesse categorie che dovrebbero esserne le beneficiate.

 

In poche parole, la democracia in Ecuador é viva, cosí come é vivo il popolo che democraticamente vuole governare e non lasciarsi governare.

 

Ma dietro le grandi manovre che hanno preso piede sulla stampa internazionale non si parla dei milioni di bambini ecuatoriani che hanno vissuto, come la loro infanzia e immaginazione ha permesso loro, la giornata del 30 settembre. Antony ha otto anni e stanotte nel sonno si mette a gridare: «Scappa scappa, arrivano i criminali!».

 

Ogni scuola, ogni collegio ha affrontato come ha potuto la situazione. Non si poteva certo fare lezione con quello che stava annunciando la radio e la TV. Adolescenti e liceali di diverse istituzioni educative sono corsi in strada a bruciare pneumatici, solidarizzando con quegli stessi poliziotti che li arrestano, quando a incendiare i pneumatici sono gli studenti.

 

Nella scuola elementare di Antony, un bambino di una zona periferica di Quito, abituato ad andare e tornare da scuola da solo, perché i genitori lavorano, la maestra ha detto: «Nessuno può uscire finché non vengono i genitori». Da lí Antony ha concluso: «Siamo prigionieri!» E in più si sentiva dire che i poliziotti avevano abbandonato il carcere per cui, i numerosi criminali e ladri e delinquenti della zona erano tutti per strada.

Arrivato a casa ha sentito dire che la nonna avrebbe dormito nel mercato, come hanno fatto tutti i piccoli commercianti di frutta e verdura per difendere la merce dai numerosi ladri che erano in giro, perché la polizia non c’era. E cosí stanotte, Antony ha avuto gli incubi… e come lui chissá quanti altri bambini.

 

E che dire dei neonati o ammalati che erano nello stesso ospedale della polizia e che hanno respirato il gas delle bombe lacrimogene e hanno vissuto dal di dentro la “battaglia” ordinata dal presidente per la sua “liberazione”?

Chi ha vissuto dal di dentro, come tanti missionari e missionarie, le guerre, le rivoluzioni, le controrivoluzioni di tanti popoli, sa che l’invenzione del “nemico” é una delle strategie piú comuni per distogliere l’attenzione  dal vero nemico della pace e del progresso dei popoli: l’ingiustizia. E questa non sta né a destra né a sinistra, scomoda ogni regime, ogni ideologia, ogni partito, ogni governo, anche quello che mette in marcia la piu’ avanzata “revolución”.

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