La cultura del sospetto e il voto degli italiani all’estero

La battaglia referendaria che sta incendiando l’Italia si allarga agli altri paesi dove risiedono i nostri connazionali, instillando dubbi di legittimità e onestà: un metodo che sta intaccando la fiducia non solo nelle istituzioni, ma in ciascuno di noi
voto estero

Per la prima volta nella mia vita di cittadina italiana mi trovo a votare all’estero. La scorsa settimana, una busta del consolato italiano di New York è arrivata a casa, consegnata con cura, integra e con all’interno le istruzioni per esercitare un mio diritto al di fuori del mio Paese. Non era stata inserita la lettera del Presidente del consiglio. In ottobre il consolato di New York ci ha informati che la possibilità di votare all’estero era prevista non solo per gli iscritti all’Aire, il registro degli italiani residenti all’estero, ma anche per chi come me si trovava negli Usa per un periodo di studio e di lavoro. Ho scelto di esercitare questo mio diritto e ho scritto all’ufficio elettorale di Roma, dove risiedo, attendendo con trepidazione la risposta e il plico elettorale, accolto con orgoglio.  

Capite che nutrendo tali sentimenti, mi ha lasciata sconcertata la polemica scatenatesi in Italia sulla mia persona e su altri cittadini, che perché non apporranno la X in una cabina sul suolo italico, automaticamente imbroglieranno e altrettanto automaticamente falseranno il risultato elettorale. Mi sono chiesta in che modo potremmo raggirare il nostro Paese. Noi non useremo la classica matita ma la penna e quindi il segno diventa indelebile e a prova di gomma. Cloneremo le schede e le buste? In città ci sono decine di copisterie Staples molto professionali, ma dovremmo comunque usare il nostro prezioso tempo nell’accurata ricerca della carta, dei caratteri, dell’inchiostro e pregare che l’impiegato americano impegnato nel digitare il quesito non faccia madornali errori ortografici. Ho sentito poi dei furti perpetrati a scapito di postini incaricati di recuperare le schede. Ho fatto una ricerca negli archivi dei quotidiani cittadini e non mi è stato possibile rintracciare notizie di postini privati di un tale prezioso carico. In una metropoli come New York, dove gli italiani vivono in maniera sparsa, la banda dei ladri di schede elettorali dovrebbe contare numeri pari agli impiegati della Chase Bank, la banca con più filiali in zona.

L’ultima possibilità è che l’ufficio elettorale o il consolato da cui parte il plico ci inviino schede false. Quindi dovrei supporre che da Roma, governata dal sindaco Raggi e da un Movimento che fa dell’onestà uno dei suoi valori di riferimento siano partite migliaia di schede falsate o che il console ne abbia in casa una scorta tale da sostituire al momento opportuno, quelle già votate. Immagino che lui stesso le abbia ricevute dal Governo italiano nei numeri previsti e quindi dove si inceppa il meccanismo? I cultori del sospetto troveranno tutti gli espedienti possibili e tutte le risposte, immaginabili e non, a questa domanda, ma questa logica che non paga, anzi divide e avvelena gli animi facendoti sempre guardare all’altro, istituzione e non, con diffidenza e circospezione. Un collega e amico, Roberto Mazzarella, durante il mio periodo siciliano, mi ripeteva che questa è la logica della mafia: “Ha spezzato il comune e universale legame di fiducia tra le persone per ridurlo al particolare e alla logica dell’appartenenza alla propria parte. Il risultato è stato la diffidenza, la sensazione di non potersi mai fidare e questo ha indebolito i legami sociali. La mafia è stata una ladra astuta: ci ha rubato la fiducia”.

 

Aggiungo a questa considerazione la recente esperienza delle elezioni americane dove il neo-presidente Trump prima del voto aveva fatto intendere che se a vincere fosse stato l’avversario, sicuramente ci sarebbero stati brogli. A nulla sono valsi i richiami del suo partito alla sobrietà nelle espressioni perché tali insinuazioni stavano minando la fiducia nelle istituzioni. Quando il verdetto delle urne ha consegnato la vittoria al magnate americano la parola brogli è sparita dai suoi discorsi, perché evidentemente le elezioni possono solo essere falsate dall’avversario e mai da entrambe le parti, ignorando che il partito non può garantire l’agire dei suoi singoli rappresentanti, che in quanto uomini sono soggetti alle debolezze e alle tentazioni degli uomini al di là dei proclami di lealtà. Intanto il ministro Gentiloni ha annunciato che saranno presi adeguati provvedimenti per evitare il rischio brogli all’estero e spero che la stessa attenzione sia riservata a quelli che votano in casa.

 

Non lasciamo che un referendum divida quello che una Costituzione, certamente imperfetta, ma pagata con il sangue, ha cercato di unire in questi 70 anni: i cittadini italiani. Il 5 dicembre chi avrà votato sì e chi avrà votato no, alla modifica di questa Carta, si troverà a lavorare nello stesso ufficio, nella stessa scuola, lavorerà o studierà all’estero più o meno fiero del Tricolore, si sporcherà le mani con lo stesso cemento nelle costruzioni, curerà pazienti con orientamento diverso, ascolterà utenti di differenti prospettive: tutti, quel giorno, saremo reduci da un’esperienza democratica e non da una vittoria o da una sconfitta da club calcistico. Avremo dato prova di amare il nostro Paese andando a votare senza permettere al veleno del sospetto di ammorbare il bello e il buono di cui siamo capaci ogni giorno e ogni volta che la fiducia ha l’ultima parola nel nostro agire, al di là di Renzi, Grillo, Berlusconi e dei tanti ladri di relazioni autentiche.

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