La Creazione di Franz Joseph Haydn

All’Accademia di Santa Cecilia in Roma Sir John Eliot Gardiner interpreta il grande poema musicale.
Foto Accademia Santa Cecilia

Non è la Nona di Beethoven il massimo poema musicale. Prima, anni 1798-99, Haydn aveva composto l’oratorio in tre parti, ben noto al musicista di Bonn. Un lavoro grandioso: si potrebbe dire che è una luce luminosa sul libro della Genesi rivisitato con una sensibilità tardosettecentesca – dopo Mozart, per intenderci – che unisce fede cristiana, ragione illuministica ed emotività  preromantica con un equilibrio ammirevole. La conseguenza sarà poi la Nona beethoveniana, incentrata tumultuosamente sul dinamismo di una fratellanza universale.

Ma i due poemi stanno l’uno di fronte all’altro, come, in un certo senso, inizio e fine di un discorso sull’umanità da parte dell’arte musicale.

L’orchestra è grande, colorata, ricchissima di spunti e di sottolineature ad ogni parola o frase, sia nei  recitativi ariosi come nelle arie, nei duetti e nei cori. L’inizio è sconvolgente: l’orchestra descrive lo spirito divino che aleggia sul caos dell’universo ancora in-forme: un tumulto e una pace insieme, ben diversi dall’incipit drammatico e fulminante della Nona beethoveniana. Sono gli angeli Gabriele e Uriele che narrano i giorni della creazione in recitativi chiari ed arie costruite con armonia, ricordando anche certi passaggi mozartiani (Mozart era morto nel 1791), ad esempio nel lirismo di alcuni passaggi  (“:::Là di balsami grato tesoro…, aria di Gabriele n. 9”) che ricorda quello delle Nozze di Figaro.

Ma non solo Mozart è presente,  bensì nei cori lo spirito di Haendel: cori trasparenti, festosi, una musica ispirata alla limpidezza assoluta  del tono maggiore. La luce è infatti la grande protagonista dell’oratorio. La sua creazione viene rivelata da uno scoppio cosmico dell’orchestra, che Haydn usa con fantasia impareggiabile durante tutto il poema, affiancando ad esempio ai legni, dolci e soavi, il controfagotto e il trombone dalle sonorità ultraterrene, i violini lucenti contro la pastosità dei corni, sempre variando, sempre inventando e “spiegando” il testo con costanti invenzioni sonore.

Se le prime due parti sono dedicate alla creazione nei sette giorni, la terza è dedicata completamente alla coppia di Adamo ed Eva nell’Eden. Haydn celebra il primo amore della storia con un incanto che ha del sublime. C’è qualcosa di paradisiaco  nel duetto con coro “Dell’alta tua bontade/Padre, Signore e Dio…” (n. 31), una leggerezza che anticipa certe preghiere di un Bellini (“Casta Diva”) o di Rossini (coro “Dal tuo stellato soglio”, dal Mosè in Egitto), e certo il ricordo di Mozart non è lontano. Ma Haydn è sé stesso: il custode di un Dio che è architetto universale, creatore della più vasta armonia.

Fra motivi anche popolari, ricami orchestrali, questa parte è tutta gioiosa, l’amore è visto come cosa naturale e bella, l’accenno alla proibizione divina è solo un accenno. Per il resto tutto è luce.

E luminosa al grado massimo è stata l’interpretazione di Gardiner, giustamente enfatica, colorata, affettuosa con l’ampio gesto. Una gioia per una orchestra ormai snella, abituata ad un repertorio vastissimo e che qui si dimostra in ogni sezione cangiante, elastica, appassionata e dal suono molto ”italiano”: luce e calore. Stupendo il coro, bravi i solisti:  il limpido, celestialel soprano Lenneke Ruiten, il basso dalla voce sonora (qualche problema nelle note gravi) Roberto Lorenzi e lo smagliante tenore Giovanni Sala.

Esecuzione superba cantata in italiano nella versione di Giuseppe Carpani (1801). Per chi volesse riascoltare  La Creazione, si consigliano i cd diretti da Gardiner (Archiv), Karajan (DDG) e Bernstein (DDG).

 

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