La Corte Suprema indiana interviene nella riforma agraria

Continuano le tensioni tra contadini e il premier Modi che si alimentano per la sospensione di tre leggi della riforma agraria. La Corte Suprema ha affermato la protezione del prezzo fisso minimo agli agricoltori per determinate colture.

Il braccio di ferro fra i contadini dell’India, soprattutto delle zone a Nord del Paese, e il governo Modi non pare allentarsi. La tensione si è ulteriormente acuita nei giorni scorsi, dopo che la Corte Suprema del Paese asiatico ha deciso la sospensione di tre delle leggi previste dalla recente riforma agraria che il Governo, privo di opposizione, aveva approvato alcuni mesi fa. Ne avevamo anche parlato su Cn-online accennando alle manifestazioni in corso da tempo sotto il titolo Delhi Chhalo – marciamo su Delhi – che aveva portato migliaia di lavoratori agricoli fino alle porte della capitale dove sono rimasti accampati ed ancora si trovano da lungo tempo. Il 12 gennaio, il più alto organo del potere giudiziario indiano ha sospeso fino a nuovo avviso tre delle controverse leggi previste dalla riforma agraria. Da subito i contadini avevano sollevato gli scudi contro la decisione unilaterale del governo, sostenendo che le nuove leggi mettono a repentaglio i loro mezzi di sussistenza.

La decisione della Corte Suprema non entra tanto in merito alle questioni specifiche della nuova normativa, ma mira a creare le premesse per una trattativa fra le due parti. I giudici, infatti, hanno affermato nella loro sentenza che la decisione di sospendere le leggi «potrebbe placare i sentimenti feriti degli agricoltori e incoraggiarli a sedersi al tavolo delle trattative con fiducia e buona fede». A questo proposito la sentenza prevede la formazione di un comitato di mediazione di quattro membri per aiutare le parti a negoziare. È previsto che il comitato possa riunirsi per la prima volta entro 10 giorni e presentare la sua prima relazione entro due mesi da tale riunione.

Come si era già spiegato nel nostro precedente articolo, la nuova normativa era stata approvata dal Parlamento, su decisione e proposta del governo Modi, nello scorso mese di settembre. Avendo il governo una larga maggioranza assoluta nelle due Camere, le sue proposte di legge non incontrano opposizione e sono approvate secondo il desiderio dell’esecutivo nonostante le opposizioni presentino argomentazioni a sfavore. Nel caso specifico della riforma agraria, è bene tener presente che tradizionalmente il governo indiano ha garantito prezzi fissi agli agricoltori per determinate colture. Questo significava una garanzia a lungo termine, consentendo ai contadini di effettuare investimenti per i cicli delle varie colture che in India spesso dipendono dalle stagioni delle piogge o dalle irrigazioni, che sono comunque legate al periodo dei monsoni. Con la liberalizzazione del mercato agricolo prevista dalla nuova legge, i coltivatori diretti possono vendere a chiunque e a qualsiasi prezzo, senza essere obbligati a cedere i raccolti a depositi statali ad un prezzo fisso. Tali prospettive hanno scatenato la reazione soprattutto da parte dei coltivatori con piccoli appezzamenti coltivabili. Infatti, essi vedono nelle nuove norme il rischio che le grandi aziende possano sfruttare i lavoratori agricoli, riducendo i prezzi di acquisto delle derrate.

Non avendo ricevuto risposte soddisfacenti alle loro rimostranze, i contadini dello stato del Punjab e dell’Haryana, a Nord e a Est della capitale, nella zona settentrionale del Paese, hanno marciato su Delhi, bloccando alcune delle arterie di accesso alla metropoli. Si calcola che almeno cento mila agricoltori da alcuni mesi bivacchino ai confini fra i due stati e il Territorio della capitale. Non sono mancati scontri con le forze dell’ordine e dell’esercito. Il governo Modi ha cercato di rispondere con otto cicli di colloqui con i leader di oltre 30 sindacati di agricoltori, ma i tentativi di mediazione non sono andati a buon fine. Si è, quindi, creata una situazione di stallo e per questo la Corte Suprema ha affermato che la protezione del prezzo minimo di sostegno, sarà mantenuta fino a nuovo ordine.

Intanto anche in altri Stati nel centro Sud del Paese i contadini hanno inscenato manifestazioni anti governo. La questione è di primaria importanza nel Paese in quanto circa il 58% della popolazione indiana vive di agricoltura. Le leggi sono state così contestate perché da anni i rappresentanti di queste categorie chiedevano l’aumento dei prezzi minimi fissati dal governo per le derrate di primo consumo. La questione è tutt’altro che secondaria per l’esecutivo Modi. Gli agricoltori, infatti, rappresentano la fetta maggiore e più importante dell’elettorato, e la diatriba rischia di minare il futuro del Primo Ministro indiano che ha trionfato nelle due elezioni precedenti.

 

 

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