La Civiltà Cattolica ha un nuovo direttore

Intervista con con padre Antonio Spadaro, nuova guida della rivista, scrutando i segni dei tempi con i nuovi mezzi della rete.
spadaro

Come un libro aperto. Jesuit, Cybertheologian, Blogger (cyberteologia.it, flanneryoconnor.it, bombacarta.com): è questo il profilo pubblico su Twitter del nuovo direttore de La Civiltà Cattolica, la più antica e autorevolissima rivista culturale italiana tuttora in piena attività. Considerata organo ufficioso della Santa Sede perché le bozze degli articoli sono lette, prima della pubblicazione, dalla Segreteria di Stato, permette a ogni lettore di trovare, in uno stile elegante e comprensibile anche nella grafica, approfondimenti e analisi che mostrano una singolare libertà e apertura mentale. Basterebbe aver seguito la produzione sui temi letterari e delle nuove comunicazioni di padre Antonio Spadaro per rendersene conto. Dal primo numero di ottobre il gesuita siciliano, nato a Messina nel 1966, è chiamato a sostituire padre Gianpaolo Salvini, grande esperto di economia e sottosviluppo nonché di America Latina, che lascia l’incarico per limiti di età rimanendo tra gli autori del quindicinale, tutti membri della Compagnia di Gesù.

 

Oltre i tanti titoli, tra cui quello di professore di Introduzione all’esperienza della letteratura presso la Pontificia università Gregoriana, padre Spadaro è anche fondatore della federazione BombaCarta (Associazioni e gruppi di espressione creativa e riflessione critica). L’idea gli venne da una poesia che trovò incisa nel cassetto di una cattedra di un liceo dove insegnava. Si comprende meglio così quello che scrive sul suo sito personale (www.antoniospadaro.net): «le mie attività principali si intrecciano tra di loro e mi aiutano a vivere il mio agire non come un semplice “fare cose”, ma come un’esperienza di vita».

 

La più antica rivista italiana con un giovane neodirettore che difende l’etica hacker e non ha timore di replicare ad incomprensioni riduttive comparse anche sulla stampa cattolica. Non c’è che dire. Dimostra una libertà di analisi e di giudizio abituale per i lettori di quello che viene definito, ed è, l’organo ufficioso della Santa Sede. Cosa è cambiato, o meglio, quale continuità con la rivista pubblicata nel 1850 su richiesta di Pio IX in esilio a Gaeta? Che significa oggi "difendere" la civiltà cattolica?

 

«Scrivo ormai da 17 anni su La Civiltà Cattolica, ma quel che mi affascina sempre di questa rivista è il fatto che è stata in grado di rimanere se stessa in oltre 160 anni di vita. Per rimanere se stessa è stata in grado di trasformarsi, solcando decenni nei quali il significato stesso della comunicazione, oltre alle sue modalità, è mutato. I suoi elementi di innovazione sono già dentro la sua storia e la sua tradizione. Ciò che La Civiltà Cattolica intende offrire ai suoi lettori è la condivisione di un’esperienza intellettuale illuminata dalla fede cristiana e profondamente inserita nella vita culturale, sociale, economica, politica dei nostri giorni. E soprattutto una rivista che vuole condividere le proprie riflessioni non solamente con il mondo cattolico, ma con ogni uomo impegnato seriamente nel mondo e desideroso di avere fonti di formazione affidabili, capaci di far pensare e di far maturare il giudizio personale. È nel suo codice genetico fare da ponte, interpretando il mondo per la Chiesa e la Chiesa per il mondo, contribuendo a un dialogo aperto, pieno, cordiale, rispettoso. La Civiltà Cattolica, essendo tra l’altro la rivista culturale più antica d’Italia, non intende venir meno al compito di confrontare, esaminare, giudicare. Non si tratta ovviamente di far proclami o campagne ideologiche, ma certamente di avere una coscienza critica attiva, capace di dichiarare gusti e prospettive e soprattutto capace di aprire scenari, ispirare l’azione e la sensibilità. Questo è il nostro modo di "difendere la fede"».

 

Quali sono a suo giudizio le emergenze attuali cui bisogna dar risposta? E con quali criteri interpretativi ? 

«Nell’editoriale del primo fascicolo del 1850 si legge che la nostra rivista ha interpretato così la propria “cattolicità”: «Una Civiltà cattolica non sarebbe cattolica, cioè universale, se non potesse comporsi con qualunque forma di cosa pubblica». Grazie alla molteplicità e all’ampiezza degli argomenti trattati, infatti, il nostro lettore, oggi come 160 anni fa, può familiarizzarsi con una quantità di temi dibattuti e attuali. Soprattutto potrà avere materiali e spunti per farsi un’opinione personale. Ma non intendiamo semplicemente “seguire” e commentare eventi culturali o riflessioni già formulate. Per quanto ci è possibile vogliamo intuire ciò che sarà, anticipare le tendenze e i fenomeni, prevederne l’impatto, tenere desta l’attenzione dei nostri lettori, dunque. Così intendiamo rispondere all’appello che Benedetto XVI ci ha rivolto nel febbraio del 2006 ricevendoci in udienza privata, quando ci disse che in questo nostro tempo non ci si può dispensare dalla ricerca di nuovi approcci alla situazione storica in cui oggi vivono gli uomini e le donne, per presentare ad essi in forme efficaci l’annuncio della Buona Notizia. La Civiltà Cattolica, per essere fedele alla sua natura e al suo compito, non mancherà, pertanto, di rinnovarsi continuamente, leggendo correttamente i segni dei tempi».

 

Il laboratorio BombaCarta continuerà? E come vede il destino della carta stampata nel nuovo mondo dei blogger? 

«BombaCarta è un laboratorio di scritture creative che ho fondato nel 1998 e che adesso è diffuso in varie città italiane. Ovviamente continuerà perché non è legato alla mia persona come riferimento unico: nel tempo si è strutturato come rete con associazioni locali e responsabili. Circa il destino della carta stampata il discorso è complesso e questo è il tempo delle sperimentazioni più che delle certezze. Tuttavia credo che il concetto stesso di “rivista” stia mutando in un tempo come il nostro nei quali la comunicazione culturale è resa facile ed accessibile, facilmente condivisibile e commentabile. Una conseguenza immediata: La Civiltà Cattolica sarà sempre più da identificare per il pensiero che esprime e che troverà espressione in vari canali e supporti, tra i quali vi è innanzitutto ma non esclusivamente quello cartaceo. In questo senso occorre imitare i primi gesuiti della rivista che furono innovatori, immaginando l’uso della stampa che era il mezzo stesso di cui si servivano i rivoluzionari, i liberali e gli anarchici. E questo per fedeltà alla richiesta del Pontefice di allora riguardo ai loro scritti di «spargerli e diffonderli ampiamente in tutti i Paesi», come si legge nel Breve di fondazione Gravissimum supremi. Così sarà naturale che il nostro messaggio sia col tempo diffuso maggiormente anche su supporti digitali per essere maggiormente fruibile da parte di un numero maggiore di persone e sia aperto alle reti sociali per la fruizione, la condivisione, il commento, il dibattito, nelle forme che saranno possibili».

 

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