La Chiesa italiana dopo il Sinodo

La bellezza di una Chiesa viva e sinodale. Una Chiesa che non ha paura di fermarsi, di guardare ai propri limiti e di farne un punto di forza.  Di fare dietrofront e trovare la forza per ripartire.
Mons. Rino Fisichella preside la Messa per la Seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia all'Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro, Vaticano 2 aprile 2025. MAURIZIO BRAMBATTI/ANSA

È passato poco più di un mese dall’assemblea sinodale del 31 marzo – 4 aprile: 1008 delegati si sono ritrovati a Roma per il momento conclusivo del cammino sinodale della Chiesa italiana. Era il momento di tirare le fila e di fare un bilancio. Di raccogliere la grande ricchezza di contributi che è arrivato dalle diocesi d’Italia e di dare slancio e gambe al percorso dei prossimi anni.

Doveva essere il momento conclusivo. Non è stato così. Il documento finale non è stato approvato. I delegati delle Chiese italiane hanno espresso un dissenso forte. Un dissenso, ma costruttivo. Due parole che, nella normalità dell’esperienza della nostra quotidianità sociale, quasi mai vanno di pari passo. Chi è in dissenso lo esprime in modo forte e spesso con i toni della contrapposizione. 

Nell’esperienza di Chiesa non è stato così. I numerosi emendamenti proposti al documento finale dai ventotto gruppi di lavoro hanno convinto tutti che era necessario un ripensamento, che serve un lavoro ulteriore per riuscire a raccogliere nel documento conclusivo tutte le istanze della Chiesa italiana. La mozione che sancisce la necessità di non concludere il cammino, ma di rinviare tutto a una nuova assemblea in ottobre, è stata votata quasi all’unanimità.

Cosa lascia tutto questo? I partecipanti all’assemblea sinodale hanno scritto al Papa parlando di «una palestra di sinodalità che ci ha insegnato uno stile per il futuro».

Sì, uno stile. Lo stile della Chiesa che Francesco ci lascia in eredità. Una Chiesa capace di essere sinodale, di saper vivere la dimensione dell’ascolto, dove il dialogo non è unanimismo e dove il dissenso, il parere diverso, il contributo discorde diventa ricchezza. Un’esperienza che non è democrazia, che non è assemblearismo, è qualcosa di più. Un’esperienza dietro la quale si intravvede il progetto di Dio sull’umanità.  

Che esperienza hanno vissuto i “sinodali”? Emanuele Boccali, 20 anni, della diocesi di Assisi, Nocera umbra, Gualdo Tadino, membro di Azione cattolica, è il più giovane dei partecipanti: «Abbiamo vissuto bellissimi momenti di confronto con gli altri partecipanti, provenienti dalle varie diocesi d’Italia. In particolare, per me, delegato più giovane nonché studente universitario impegnato in parrocchia e in Azione Cattolica, è stata un’eccezionale occasione per vedere all’opera una Chiesa “in cantiere”, al lavoro per costruire un futuro ancora più illuminato dalla Grazia di Dio. L’attenzione riservata, durante i lavori, ai temi legati ai giovani e alla loro pastorale dimostra la volontà, da parte della Chiesa, di creare percorsi per e con loro, allontanandoli dal pericolo di essere “giovani vuoti”, senza valori e ideali. Come alle origini, il coraggio e la gioia di essere cristiani accomuna ancora oggi molti giovani, ispirati e guidati dagli esempi dei beati Carlo Acutis e Piergiorgio Frassati, che in questo anno giubilare saranno canonizzati». 

Aggiunge Marina Zola, focolarina, referente diocesana di Assisi. «Chiarezza e trasparenza degli interventi in assemblea e nei 28 gruppi, profondo ascolto da parte del Comitato per il Sinodo e nei lavori, tanto impegno nei gruppi che hanno valutato priorità e proposto emendamenti importanti, questi alcuni tratti salienti delle giornate». E aggiunge: «Abbiamo vissuto un’esperienza sinodale di portata enorme, guidata dallo Spirito Santo: un’esperienza di Chiesa matura, appassionata, costruttiva, una Chiesa che non ha paura di “perdere la faccia” (se mai qualcuno l’avesse vista così) per accogliere e rispondere al soffio dello Spirito. Noi siamo stati testimoni di una tappa fondante del cammino sinodale in atto. Come ogni cammino può trovare inciampi, difficoltà, blocchi forse inaspettati, ma si affronta tutto insieme, ed è questo che si è vissuto, con grande senso di responsabilità, con tenacia e fiducia provata da parte di tutti. Per la mia sensibilità, un’esperienza di portata enorme». 

«È stata un’esperienza di Chiesa matura – afferma Franco Bruni, della diocesi di Ascoli –. Si è lavorato molto bene e ci si è accorti che in certe occasioni, durante il cammino, occorre “rallentare”, anche per esprimere al meglio le differenti sensibilità. Sono tornato a casa arricchito. Il fatto che si sia votata all’unanimità la mozione è un segno di comunione e non di divisione». 

Dolores Doria, della diocesi di Catania, referente sinodale per la Sicilia, parla di «profonda gratitudine per essere coinvolta dallo Spirito Santo in una pagina di Chiesa che resterà nella storia e la cambierà, come Dio vorrà». Racconta così la sua esperienza, raccolta dal periodico diocesano Prospettive. «Confesso che durante le due discussioni del martedì, con tutti gli interventi ascoltati, sono rimasta col fiato sospeso, perché capivo che l’esito dei lavori non era scontato ed era necessario un supplemento di ascolto. Quando abbiamo aperto i lavori di gruppo, martedì pomeriggio, credo che sia avvenuto il miracolo. Nel mio gruppo, il primo a prendere la parola è stato un vescovo, che proponeva di non procedere con gli emendamenti, visto che il documento aveva riscosso tante obiezioni. A me risuonava la lettura di Ezechiele 47, che avevamo ascoltato durante la Messa: l’acqua che esce da sotto il tempio, che diventa un fiume meraviglioso, che porta piante, frutti e vita dappertutto… Sono intervenuta ricordando che il nostro compito era quello di ascoltarci tra noi, confrontandoci sul testo per emendarlo e migliorarlo, continuando il lavoro iniziato negli anni precedenti. Ci siamo messi a lavorare. Le proposizioni sono diventate nostre, abbiamo verificato la difficoltà nell’esprimerci insieme, scegliendo le parole una ad una, e abbiamo apprezzato lo sforzo di sintesi che qualcuno per noi aveva provato a fare. Si era prodotto un cambiamento in noi e la critica è diventata costruttiva, quindi generativa». 

«Fin dall’inizio del Cammino sinodale – aggiunge Eugenia Travo, focolarina, della diocesi di Aqui –, si è detto che questo percorso doveva essere innanzitutto un’esperienza spirituale, dove lo Spirito Santo potesse essere il vero ed unico protagonista, quello Spirito che si intreccia con i calcoli umani ma non li subisce, che in questi anni ci ha fatto sperimentare la fatica, la gioia e la bellezza di lasciarci condurre da Lui. In questi giorni, faticosi, travagliati e contemporaneamente, sorprendenti e bellissimi, abbiamo sperimentato come in quattro anni di cammino siamo cresciuti in corresponsabilità, consapevolezza e tanta passione per una Chiesa che continua a generare Cristo e a camminare verso una conversione missionaria e comunitaria. Pensando a questa assemblea sinodale mi tornano in mente alcune parole chiave: preghiera, attesa, coraggio, travaglio, diversità, ascolto, dialogo, costruzione, passione e armonia. Parole diverse, ma tutte contraddistinte da una preziosissima esperienza spirituale, di Chiesa viva e palpitante che non si lascia fermare da incomprensioni e differenze. Anzi abbiamo sperimentato la ricchezza delle differenze».  

«Un’assemblea espressione di una Chiesa vera, viva, leale, sincera ma soprattutto aperta al dialogo – così la definisce Giuseppina Dell’Ali, della diocesi di Ragusa, membro di Rinnovamento nello Spirito –. Lo stile sinodale che ha caratterizzato il cammino degli ultimi quattro anni e che nasce dal Concilio Vaticano II mi ha fatto crescere nella consapevolezza che la Chiesa è frutto del cammino di ciascuno, siano vescovi, presbiteri, consacrati e consacrate, laici e laiche. Il cardinale Zuppi ha scherzosamente detto che sin dai tempi di Sisto V i vescovi si sono sempre incontrati a maggio. Sono stata felice di esserci, felice di sentirmi Chiesa che dà il suo contributo e di potere raccontare questo bel capitolo della storia della Chiesa». 

Annalucia Botticchio era la delegata del Movimento dei Focolari nell’assemblea sinodale: «Richiamando gli Atti degli Apostoli mi viene in mente il Concilio di Gerusalemme: anche lì apparentemente è sembrato che ci fosse una Chiesa nascente che stava fallendo e che l’unità pregata da Gesù non si potesse fare, invece proprio da quel momento di divisione è poi nata la Chiesa che è arrivata fino a noi».

Keti Stipa, della diocesi di Fermo, traccia un bilancio personale: «Ho fatto l’esperienza di come nelle difficoltà, nelle non chiarezze, nei timori – che naturalmente creano confusione –, se ci si lascia guidare dallo Spirito Santo ogni cosa torna al suo posto con una luce ancora più brillante».

Don Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, sintetizza così su Mosaico di Pace: «Finalmente alla Chiesa che è in Italia è dato di vivere un Sinodo. Si scrive Sinodo ma si legge respiro, azione dello Spirito. È un parlarsi senza le limitazioni imposte dalla diplomazia ovattata e ossequiosa a cui per troppo tempo, soprattutto i laici, sono stati educati. Sembrava un galateo da rispettare come un comandamento e invece… E invece l’Assemblea sinodale dei giorni scorsi (ma per la verità tutto il cammino di questi quattro anni) ha fatto emergere un coraggio di parresia fecondo e promettente. Senza strappi, senza dissenso organizzato, senza prevaricazioni e mancanza di rispetto. Tutt’altro! Quello emerso nell’aula Paolo VI è un tessuto di Chiesa che vuole scrutare l’orizzonte e prepararlo, e che pertanto vuole camminare (lo dice la parola stessa) e non accettare un semplice passaggio in autobus. Si tratta della prima manifestazione concreta della ricezione della primavera conciliare che ha definito la Chiesa come popolo di Dio. Ebbene oggi sappiamo che quel popolo ha una testa, dei piedi e un’anima e – come negli Atti degli Apostoli (15,2) – è capace di discutere animatamente. Ma la sorpresa ancora più grande è che tutto questo avviene senza spirito rivendicativo o con stile sindacale ma fraterno, tra vescovi, religiosi, laici e presbiteri che sanno di essere soggetto e di non avere una controparte. Insomma, un popolo in cammino». 

Chiudiamo con le parole di monsignor Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, affidate al giornale diocesano e riprese dall’agenzia AGD. «Assemblea sinodale. Primavera nella Chiesa. È ciò che ho vissuto a Roma in questi giorni. A prima vista sembrava una “sconfitta”. Molti giornali hanno parlato di una Chiesa “in rivolta”, in crisi, divisa. Una “notte” della Chiesa italiana. Per me è stata un’aurora, una primavera. I giornali hanno parlato di un’Assemblea “ribelle”. Io, invece, ho sentito un’assemblea viva, coraggiosa, libera, desiderosa di cambiamento, aperta al futuro. Un’assemblea generativa. Come ha detto monsignor Castellucci: “Abbiamo vissuto dei giorni davvero spirituali, non solo nei momenti di preghiera, ma anche in quelli di dialogo, dibattito, confronto e ricerca di consenso. L’azione dello Spirito, infatti, non mira al livellamento e all’uniformità, ma alla comunione, che è armonia delle diversità e ricerca di una sintesi superiore… I momenti di tensione, dunque, fanno parte da sempre dei percorsi sinodali e sono esperienze spirituali, se vissuti come è successo in questa Assemblea in modo costruttivo”. Sembrava inverno, era primavera!». 

Un’ultima battuta nelle parole di Eugenia Travo: «Vi ricordate il testo degli Atti degli Apostoli dove viene descritto il giorno di Pentecoste? Si legge: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso”, anche qui abbiamo fatto questa esperienza».

Ecco la Chiesa ai tempi di Francesco. Che si prepara a vivere tempi nuovi, dopo i giorni del Conclave. Mantenendo lo stupore dei discepoli a Pentecoste. E il loro sì fedele da cui è nata la Chiesa. Un sì che dopo 2000 anni giunge intatto ai nostri giorni.

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