La Chiesa in piazza contro i veleni

Intervista a monsignor Angelo Spinillo, vescovo di Aversa e amministratore apostolico della diocesi di Caserta, che ci spiega il suo impegno e quello di molti sacerdoti a favore di una bonifica della Terra dei fuochi e di un’educazione alla legalità che coinvolga tutti, cristiani e no
Monsignor Angelo Spinillo

Sfila circondato da tanti sacerdoti monsignor Angelo Spinillo, vescovo di Aversa e amministratore apostolico della diocesi di Caserta. Raccoglie l’eredità pesante di Raffaele Nogaro, il precedente presule della Chiesa casertana ora in pensione, che si era sdraiato davanti ai camion per impedire lo sversamento di rifiuti in discariche non sane. Davanti a monsignor Spinillo c’è una croce vuota, dietro più di 40 mila manifestanti del casertano e della periferia di Napoli che chiedono la certezza di poter vivere in una terra che non diventi veleno mortifero per sé e per i proprio figli. Don Antonello Giannotti, uno dei parroci organizzatori, al megafono spiega il perché del silenzio lungo la manifestazione e l’importanza di lavorare e protestare civilmente per il futuro. La Chiesa in queste terre diventa la voce dei dimenticati, la denuncia di chi alla cultura della vita ne ha sostituita una di morte e di bramoso profitto. Abbiamo chiesto al vescovo il perché della presenza ecclesiale.

Mons. Spinillo, la Chiesa in questo momento si sta dimostrando una forza aggregante fra tutte le realtà del territorio. Ci volevano proprio i preti per smuovere le acque?
«In un tempo in cui è difficile trovare persone che riescono a dare credibilità e ad avere credibilità la Chiesa si fa carico di un disagio. Credibilità, per me, è ciò che aggrega le persone. Credibilità vuol dire libertà di intenti, non che siamo migliori degli altri. Siamo più liberi di parlare, più sinceri, senza interessi di parte. Questo fa sì che la gente si raccolga con serenità, senza timore di essere ingabbiata in una logica di partito, in una cosa che alla fine non produce nulla, perché la maggior parte di questi dibattiti diventano solo un litigio di forze diverse che alla fine non riescono a coagulare una posizione efficace».

Ma il Vangelo cosa c’entra con la spazzatura?
«Ce l’ha detto il papa quando ha utilizzato l’espressione il 5 giugno scorso: dobbiamo evitare la cultura dello scarto. Il Vangelo è accoglienza, è attenzione, non è solo uso e rifiuto di quello che si è utilizzato. Anzi il papa è andato anche più avanti: ha invitato a riconoscere che questa sorta di logica, di cultura dello scarto la usiamo non solo con le cose ma anche con le persone e ci ha messi in guardia».

Perché ora e non prima?
«Perché improvvisamente questo movimento è diventato come un’onda che è andata crescendo. Il movimento della Terra dei fuochi è nato un anno e mezzo prima dalla riflessione di don Maurizio che notava come nel suo quartiere, abitato da gente con poche risorse economiche, le persone in estate dovevano rimanere con le finestre chiuse a causa dei roghi che si accendevano in varie parti. La nostra attenzione è nata da una serie di domande che ci siamo posti. La gente ha risposto perché ha sentito parlare in maniera differente di ciò che si viveva concretamente. Non si trattava di fare astrazioni. Siamo entrati dentro una dimensione concreta: la sofferenza, il dolore di chi vede i propri familiari soffrire, morire. E questo ha suscitato partecipazione. Prima tanti parlavano, si raccontava delle situazione dei rifiuti interrati, ora è come se se ne fosse presa coscienza».

Non ha paura per i suoi preti così in prima linea, così esposti?
«Credo che ci sia, in loro e in me, molta consapevolezza di tutto quello che stiamo facendo, rischi inclusi. Non nego che ci sia qualche difficoltà di interpretazione del loro ruolo… si sente».

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