La bomba dei crediti deteriorati

Valgono miliardi di euro. Le banche se ne devono liberare con il rischio di cederli alle “società avvoltoio” che si rifanno sui debitori. Allarme del sindacato Fabi
Esma Cakir/AP Images

C’è una notizia passata velocemente sui desk dei giornalisti, ma che merita di essere approfondita perché ci permette di capire meglio il nostro tempo e il successo che può riscuotere lo slogan “prima gli italiani”.

Esistono infatti almeno un milione e 200 mila soggetti, tra persone e imprese, esposte ad un problema pressante che non permette di ragionare su questioni come il conflitto tra legge e giustizia, per non parlare del riferimento alla figura di Antigone. Ci riferiamo all’allarme lanciato da Fabi, una delle principali sigle sindacali dei lavoratori del credito e delle assicurazioni, circa la gigantesca operazione in corso da parte del sistema bancario con la cessione dei crediti deteriorati.

In inglese si chiamano Npl (non performing loans) e cioè “crediti non performanti”, nel senso che non sono affatto recuperabili o lo sono solo in minima parte, per un valore, solo in Italia, di 360 miliardi di euro accumulati al 2015.

Secondo la Banca d’Italia, si tratta principalmente della «conseguenza della pesante contrazione registrata dall’economia italiana negli anni della crisi: quasi dieci punti di PIL e circa un quarto di produzione industriale». Ci sono poi stati dei casi «di erogazione del credito inadeguate o illecite, che sono state oggetto di sanzioni e/o di indagini giudiziarie», per non parlare della «lentezza delle procedure di recupero crediti, a sua volta connessa in larga misura con i ritardi della giustizia civile».

Sta di fatto che tale massa di crediti, secondo le indicazioni della banca centrale europea, è un grave fattore di rischio che va fatto scendere progressivamente tramite svalutazioni e vere e proprie cessioni. E qui si inserisce l’allarme della Fabi, perché secondo il segretario generale Lando Maria Sileoni: «sono ignorati gli aspetti sociali legati alle operazioni finanziarie attuate per far quadrare i bilanci». O, per dirla in maniera ancor più dura, sempre secondo il sindacato autonomo dei bancari,«chi ha tratto profitto dalle svendite folli di crediti marci sono solo le banche e gli operatori di mercato, avvoltoi in cerca di affari a buoni prezzi e ignari del danno sociale prodotto».

In che senso? Secondo la Fabi si tratta di «clienti bancari “ceduti”, con le loro rate scadute, dagli istituti bancari a società specializzate nel recupero crediti che operano frequentemente con modalità spregiudicate». In effetti, il rischio di procedere in maniera sommaria, in vista dei risultati da ottenere in tempi brevi, è molto forte. Come nota anche Moyra Longo su Il Sole 24 ore «le banche hanno venduto grandi quantità di Npl, ma i soggetti che li hanno comprati troppo spesso non sono dotati di strutture adeguate per gestirli».

Siamo davanti ad una vera e propria bomba pronta ad esplodere, secondo la Fabi, perché «i tempi di recupero crediti delle società specializzate sono troppo veloci [per mancanza di personale, ndr], da qui i pericoli per i titolari delle sofferenze di venire strozzati, con il serio rischio di finire, per disperazione, nelle mani degli usurai e della criminalità organizzata». Come fa rilevare, infatti, l’analisi del quotidiano economico di Confindustria, le prime 7 società che operano in Italia nel settore del recupero crediti «hanno visto crescere il carico di lavoro del 73% da fine 2016 a fine 2018, ma hanno aumentato l’organico solo del 21%».

Un altro dato molto importante messo in evidenza dalla Fabi riguarda il fatto che la maggior parte dei debiti ceduti (61%) è relativa ad importi che vanno da 250 a 30 mila euro. Indice di una crisi che colpisce le famiglie meno abbienti, quelle cioè che vengono messe in ginocchio da spese impreviste. Le percentuali di inadempienza dei debiti milionari sono insignificanti (0,04%).

Il grande affare che attira forti capitali in questo settore consiste nella differenza tra il valore dei crediti ceduti (al 15-20% di quello originario) e quello effettivamente realizzato dalle società che operano il recupero. Secondo la Fabi, proprio «sul discusso e pericoloso mercato del recupero crediti è finita, con ogni probabilità, una parte consistente dei 170,8 miliardi “spazzati via” dai bilanci delle banche» seguendo le direttive della vigilanza europea, dato che «nel triennio 2015-2018 il totale dei crediti deteriorati ancora iscritti nei bilanci bancari sono stati portati da 360,4 a 189,6 miliardi di euro».

Un segnale significativo della crescita di questo settore arriva, ad esempio, dalla recente nascita di una nuova banca, la Ilimity, specializzata proprio in crediti deteriorati, su iniziativa di Corrado Passera, già ministro dello Sviluppo economico nel governo Monti e, prima ancora, amministratore delegato di Poste Italiane e di Intesa San Paolo. Per avviare la nuova banca ha raccolto 600 milioni di euro tra diversi investitori, tra i quali – come riporta Il Post –, «Davide Serra, proprietario del fondo londinese Algebris, l’ex direttore generale della banca britannica Barclays Bob Diamond e la società americana Tensile Capital».

L’intento di Passera è quello di assistere piccole e medie aziende in difficoltà al posto delle grandi banche che soffrono la forte pressione alla vendita dei crediti deteriorati da parte della Bce.

Un’attività, quindi, diversa da intenti speculativi, ma in grado di offrire, comunque, buoni risultati se l’obiettivo indicato è quello di raggiungere un utile di 300 milioni di euro entro il 2023 e una somma di investimenti e proprietà della banca pari a 7 miliardi di euro. Segno di un settore interessante da tenere sotto osservazione.

 

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