La “Santuzza” e la sua città

Agata, la giovane martire del III secolo, al centro della terza festa religiosa più importante al mondo, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità
Catania

Catania, la seconda città della Sicilia dopo Palermo, vanta una storia millenaria. Più volte distrutta lungo i secoli dai terremoti e dai flussi lavici dell’incombente vulcano, l’Etna, sempre è stata caparbiamente ricostruita. Oggi si offre nello splendore della sua veste barocca, di cui è emblema la celebre via Etnea. Tra i suoi più illustri figli la città annovera un Vincenzo Bellini e un Giovanni Verga. Ma la vera gloria di Catania risale molto più indietro nel tempo, ed è una giovanissima cristiana del III secolo, morta martire durante la persecuzione voluta da Decio: Agata.

 

Per la loro patrona i catanesi, e in genere i siciliani, stravedono.  E si capisce: a lei sono legati da un debito di gratitudine per i molti miracoli e i favori elargiti durante i secoli. Come quando vi hanno fatto ricorso per scongiurare i pericoli di terremoti, eruzioni, pestilenze e altre calamità. Non è forse vero che più volte, come il suo “collega” san Gennaro, Agata ha fermato la lava che minacciava la città? È bastato portare in processione il suo velo custodito nella cattedrale davanti alla colata ardente perché questa si arrestasse o prendesse altre direzioni.

 

La devozione verso la santa catanese ha superato di gran lunga i confini della sua città di origine, per dilagare ovunque nel mondo v’è traccia di siciliani. Eppure poche sono le notizie certe intorno alla sua figura. Così la ricorda il Martirologio romano: «5 febbraio. Memoria di sant’Agata, vergine e martire, che a Catania, ancora fanciulla, nell’imperversare della persecuzione conservò nel martirio illibato il corpo e integra la fede, offrendo la sua testimonianza per il Signore».

 

Accanto a questo scarno resoconto, ne esistono altri di vari secoli successivi al martirio, che raccolgono tradizioni orali di cui esistono numerose varianti. Sembra comunque che la fanciulla fosse di nobile famiglia e che il proconsole Quinziano avesse tentato di sedurla anche per impossessarsi dei beni di famiglia, servendosi di una matrona di facili costumi e delle sue altrettanto corrotte figlie. Tutto invano. Agata sprezzò lusinghe e minacce e prima di spirare subì le più atroci sevizie, fra cui lo strappo dei seni. La tradizione riferisce, quale castigo per Quinziano, la morte violenta (fu scaraventato in un fiume da cavalli imbizzarriti) e la proclamazione della santità di Agata vox populi.

 

A Catania alcuni resti del pretorio, già sede del crudele proconsole, sono inglobati nella basilica di Sant’Agata La Vetere, altri nella basilica del Carcere (proprio quello nel quale spirò la martire), altri ancora nella basilica di Santa Maria della Fornace, dove si tramanda che Agata subì l’ultimo supplizio dei carboni ardenti.

 

Le più antiche immagini di lei si trovano a Napoli, in un affresco del IV secolo delle catacombe di San Gennaro, e a Ravenna, nella basilica di Sant’Apollinare Nuovo, in un mosaico del VI secolo detto “delle vergini”, dove è raffigurata con le vesti di diaconessa in stola e dalmatica.

 

Le sue reliquie sono custodite nella cattedrale di Catania, parte in un busto d’argento, parte in alcuni reliquiari riposti in un grande scrigno pure d’argento: il tutto del peso di diversi quintali. Due sono le ricorrenze a lei dedicate nell’anno: il 3, 4 e 5 febbraio e il 17 agosto. La prima festa ne commemora il martirio, la seconda il ritorno a Catania delle sue spoglie, che erano state trafugate a Costantinopoli nell’anno 1040 dal generale bizantino Giorgio Maniace

 

Memorabili sono i festeggiamenti che da cinque secoli la città riserva alla sua sant’Aituzza, e immensa è la partecipazione della folla che viene da tutta la Sicilia e da più lontano: circa un milione di devoti o di curiosi che invadono vie e piazze della città etnea, partecipando a riti di grande suggestione nei quali si manifesta un grande entusiasmo collettivo, soprattutto quando sfila la processione del “fercolo”, il pesantissimo tempietto che regge il busto e lo scrigno argentei con le reliquie, trainato mediante cordoni della lunghezza di quasi quattrocento metri da centinaia e centinaia di uomini. Proprio per tale coinvolgimento popolare, quella di sant’Agata è ritenuta la terza festa della cristianità più importante al mondo, dopo la Settimana Santa di Siviglia e la Festa del Corpus Domini di Cuzco (Perù), e come tale è stata dichiarata dall’Unesco, nel 2002, “bene etno-antropologico patrimonio dell’umanità”.

 

Tutto ciò che si può sapere della Santuzza e del suo contesto storico si trova in Sant’Agata, il bel volume di Beatrice Immediata edito di recente dalle Paoline. Nella seconda parte di questo documentato studio è esposta la realtà del martirio nei primi tre secoli dell’era cristiana: testimonianze di tempi lontani che però hanno alimentato lungo i secoli la fede dei credenti e trovano, anche ai nostri giorni, un riscontro nelle attuali persecuzioni. Proprio per questo l’autrice lo ha dedicato «a tutti i martiri della storia della Chiesa antica e contemporanea, i cui nomi sono scritti nel “Libro della vita”».

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