Janacek al Teatro dell’Opera

A Roma Kàt’a Kabanovà del musicista della Cekia. Un lavoro di grande fascino musicale in scena fino al 27
Janacek

Kàt’a è una donna romantica, sogna l’amore ma è vittima di un marito succube della madre ed anche traditore, e quindi di una suocera aggressiva e bacchettona che la umilia di continuo. Cercherà amore altrove, verrà svergognata e non le resterà che la morte. È un dramma di storia russa che diventa protesta nei confronti del mondo chiuso dei mercanti del Volga. Leos Janacek si appassionò subito alla storia, la musicò in tre atti e la fece rappresentare a Brno il 23 novembre 1921.

In quest’opera cupa su tradimento e rimorso, la natura ha una grande parte e l’orchestra ne descrive i furori, i notturni dove avvengono i tradimenti, le stasi plumbee,  i rari momenti di pace, ed anche i rimorsi di Kàt’a per aver essa stessa tradito il marito. Non riesce a superare  il mondo crudo in cui vive, i suoi stessi rimorsi e si ucciderà condannando la società gretta che l’ha di fatto condannata anche prima di commettere le colpe. Lavoro dunque forte, drammatico, impietoso.

Janacek ricorre a spunti melodici, specie nel finale ultimo, molto belli: c’è una profusione di temi anche di origine popolare affidati all’orchestra più che alle voci che dicono atmosfere, presentimenti, ragionamenti intimi come nei due monologhi principali della protagonista nel primo e nel terzo atto. I colori orchestrali parlano: ad esempio le terzine dei timpani che risuonano spesso sono la figura della morte. Se la voce di Kàt’a conosce arcate melodiche, quella della suocera è stridente in un dramma psicologico- sarebbe da dire psicanalitico – di fatto tutto al femminile dove  è grande la richiesta di poter  amare oltre ogni regola.

L’edizione romana è da non perdere. Le voci, tutte perfette del cast, in particolare la protagonista Corinne Winters, minuta di corpo, attrice agile, voce cristallina, ampia e scorrevole. L’orchestra suona con passione diretta da David Robertson: tempi giusti, ora calmi ora agitati, colori sempre accesi. La regia di Richard Jones per fortuna non è invasiva: le scene sono essenziali, i costumi attuali, i movimenti equilibrati così che si assiste ad una musica molto originale che capita raramente di ascoltare in Italia e che genera in noi, come in Janacek,  un sentimento di pietas per l’amore non corrisposto.

 

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