Isis, finanze e complicità

L'aspetto delle risorse economiche dello Stato islamico rimane ancora piuttosto nebuloso, sebbene si sa che il gruppo può contare su un capitale faraonico e diversificato. E ancora in pochi si sono resi conto che nelle nostre scelte quotidiane possiamo diventarne potenziali complici
Carrarmato

Fra gli aspetti di cui tanto si parla riguardo all’Isis, quello delle finanze dello Stato islamico rimane ancora piuttosto nebuloso, anche se si sa bene che il gruppo può contare su risorse quasi faraoniche. In effetti, i Paesi occidentali e gli Usa hanno ancora una volta sottovalutato quanto l’organizzazione da tempo stesse preparando il progetto che ha cominciato a realizzare su scala internazionale solo nell’estate del 2014.

Oggi l’Isis può contare su un capitale diversificato che va da pozzi petroliferi a raffinerie, da denaro finito nelle sue casse dalle banche dopo la conquista di città come Mosul al traffico di essere umani e da proprietà terriere con coltivazioni particolarmente lucrative a tasse imposte su cittadini che hanno optato per restare all’interno del "califfato", nonostante un passato da "collaborazionisti" con altri regimi. Proprio di questo ha parlato un interessante articolo apparso su Bloomberg Businessweekne i giorni successivi agli attacchi di Parigi.

Nell’ondata emotiva per il grande sdegno per i fatti di Parigi, pochi, forse pochissimi, si sono resi conto che, in qualche modo, tutti noi europei siamo potenziali complici dell’Isis. Il carburante che usiamo ogni giorno per i nostri veicoli potrebbe, infatti, in buona parte arrivare dal grande traffico di greggio che i terroristi hanno impostato da tempo e che permette loro di contrabbandare l’oro nero attraverso intermediari. Il gruppo da tempo si era assicurato il controllo di una rete che da decenni opera in Medio Oriente, da quando Saddam Hussein cercò di evadere le sanzioni internazionali contrabbandando miliardi di dollari di greggio fuori dell’Iraq all’interno di un programma delle Nazioni Unite. Si calcola che il business del petrolio possa fruttare all’organizzazione terroristica sui 500 milioni di dollari all’anno. Questo ha smentito clamorosamente quanto si pensava fino a tempo fa, che gli introiti dell’Isis arrivassero dalle raffinerie e dalla vendita di prodotto pronto per il consumo. Colpire le raffinerie con bombardamenti intacca solo minimamente il grosso traffico abilmente instaurato.

La questione del petrolio e dell’Isis è cruciale per capire le possibilità pressochè illimitate che il gruppo può permettersi nella sua guerra. Infatti, non è solo venduto attraverso intermediari, ma è anche portato, una volta raffinato in Siria, in città sotto il controllo diretto dell’organizzazione. A Mosul questo petrolio è usato per i generatori e per la sopravvivenza quotidiana. Esiste una rete che permette di fornire il greggio necessario alla vita di coloro che si trovano sotto il controllo delle bandiere nere dell’Isis. È fonte di ricchezza, quindi, ma anche usato per i "cittadini" del "nuovo Stato". Fra l’altro sembra che buona parte del greggio venga raffinato in fornaci rudimentali che si trovano lungo le arterie delle zone controllate dai militanti.

Si è accennato anche alla liquidità di cui l’esercito del califfato si è impadronito una volta assicuratosi il controllo di grandi centri come Mosul. Si calcola che dalle banche siano stati recuperati dai 500 milioni di dollari al miliardo e che si continui a rimpinguarle con estorsioni, riscatti faraonici per ostaggi e tasse imposte alla popolazione che si trova all’interno del territorio del "califfato". Un esempio di quest’ultimo aspetto è la possibilità di pentimento che i miliziani offrono a poliziotti, militari e insegnati che hanno deciso di restare nel territorio sotto il loro controllo. Come segno e assicurazione di pentimento per aver servito una organizzazione di "infedeli" si chiede una espiazione pecuniara. Si mostra di essersi davvero pentiti acquistando una carta di identità che costa sui 2500 dollari e che deve essere rinnovata ogni anno al costo di altri 200 dollari.

Un sistema, quindi, tutt’altro che improvvisato e che ci coinvolge tutti: sia coloro che sono sotto il controllo diretto dell’Isis sia tutti noi che, terrorizzati da quanto sta accadendo e dalla brutalità di certe azioni, proclamiamo guerre, ma che finiamo poi per andare al lavoro o in vacanza usando benzine che, probabilmente, provengono, almeno in parte dai pozzi petroliferi controllati dal califfato.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons