Iran-Arabia Saudita, cosa c’è dietro le nuove tensioni?

Le esecuzioni capitali compiute agli inizi di gennaio nel Paese saudita, che hanno portato alla morte anche il leader religioso sciita Sheikh Nimr Bakr al-Nimr, hanno provocato l'indignazione dei sunniti e le proteste degli iraniani. È uno scontro solo religioso o c'è dell'altro? Pubblichiamo la prima parte di un approfondimento sulle tensioni che animano quello che è ritenuto il centro dei giochi geopolitici del pianeta
Proteste in Iran per l'uccisione in Arabia Saudita del leader religioso al-Nimr

Iran-Arabia Saudita. Il 2016 si è aperto con una nuova escalation di tensione e potenziale deflagrazione nella zona che da decenni rappresenta il centro dei giochi geopolitici del pianeta. È un’area, come ben sappiamo, dove si susseguono conflitti di diverso tipo su territori che vanno dalla Turchia al Marocco, passando dalla Penisola araba, gli Emirati e gli altri stati del Golfo Persico. Non di rado si tratta di guerre e scontri telecomandati da altri, con giochi politici sulla scacchiera mondiale difficili da decodificare. Non a caso, alcuni questi Paesi sono ormai inseriti in quella parte di mondo definita come caoslandia.

 

La crescente tensione fra Arabia Saudita e Iran non è una novità, ma non aveva mai raggiunto questi livelli. Non sono solo due stati sovrani che si scontrano, ma due culture – quella persiana e quella araba – due modi di intendere e vivere una religione – l’islam, tra cui da decenni e sempre più, vive la tensione fra i sunniti e gli sciiti – ma anche due orbite politiche, legate alla propria concezione della religione musulmana, ma allo stesso tempo parte dei grandi giochi geopolitici ed economici degli ultimi decenni.

 

Qui i protagonisti sono vari. L’Islam, senza dubbio, con il suo disagio interno profondo, la politica internazionale che ha posto i due Paesi a poli della regione, ma anche, e soprattutto, l’economia legata alle fonti energetiche, petrolio e gas ovviamente. L’Iran dopo l’avvento della rivoluzione islamica dell’ayatollah Khomeini ha decisamente voltato le spalle all’occidente, in particolare agli Usa, e per decenni ha vissuto e sopravissuto ai vari embarghi, emergendo, tuttavia, come il polo del mondo musulmano sciita. È, in effetti, il Paese sciita più grande del mondo. L’Arabia Saudita, al contempo, ha costituito l’altro polo dell'Islam mondiale, quello sunnita, che ha anzi sempre più cercato di colorare di whabismo, esportando non solo petrolio, ma anche questo tipo di Islam, a cui in qualche modo si ispirano le varie forme di fondamentalismo islamico. Al contempo, alleato degli Usa, ha giocato per anni con la spavalderia di sapersi coperto in qualsiasi scelta economica, finanziaria o di carattere politico o militare.

 

Le lunghe trattative sul nucleare che gli Usa, con altri stati – i G-5 – avevano da tempo intavolato con l’Iran, hanno riaperto i giochi, lanciando segnali chiari ai sauditi: le cose avrebbero potuto cambiare nell’asse medio-orientale e nel mondo del petrolio, che si identifica con l’Islam. L’accordo raggiunto il 14 luglio scorso, una vera scommessa dell’era Obama, ha finito per far capire che tutto, dopo quarant’anni, si riapriva. I ruoli di Iran e Arabia Saudita potevano, più o meno improvvisamente, cambiare, quasi scambiarsi. 

 

Senza questo quadro, senza dubbio ben noto, ma sempre utile da tener presente, non si possono capire il senso e le reazioni alle esecuzioni realizzate in Arabia Saudita il 2 gennaio. Sono stati giustiziati 47 prigionieri accusati, secondo il Ministero degli interni saudita, di “aver adottato l’ideologia radicale takfiri, essersi uniti a organizzazioni terroriste e aver orchestrato diverse azioni criminali”. Tra loro, i responsabili degli attacchi perpetrati da al-Qaeda nel regno tra il 2003 e il 2006, ma anche numerosi esponenti della comunità sciita saudita, arrestati in seguito alle proteste del 2011-12. Tra questi, il religioso Sheikh Nimr Bakr al-Nimr. Soprattutto, se si vuole leggere il senso anche religioso, per altro, fondamentale nel decifrare l’avvenuto, le sentenze e le esecuzioni sono state “benedette” dal gran mufti saudita Sheikh Abdul-Aziz Alal-Sheikh, il quale ha affermato che l’esecuzione dei prigionieri “è stato un atto di misericordia, in quanto impedisce loro di compiere ulteriori atti malvagi”.

 

Ma è importante anche sapere chi era il religioso sciita condannato a morte. Infatti, Sheikh Bakr Nimr al-Nimr non era un semplice membro del clero sciita. Negli ultimi anni era diventato portavoce delle istanze della comunità sciita della Provincia Orientale (ash-Sharqiyyah). Era già stato arrestato nel 2006, ma, soprattutto, al Nimr era divenuto il punto di riferimento del movimento pro-democrazia, dopo le proteste scoppiate nel 2011-12 con cui si richiedeva riforme politiche e maggiori diritti per la comunità sciita nel Paese simbolo del sunnismo wahabita. Proprio per questa sua azione era stato arrestato nuovamente nel 2012 con le accuse di “istigazione alla ribellione” e “disobbedienza”, e, per queste ragioni, due anni tardi, era stato condannato a morte. Infatti, per il governo di Ryad aveva “cercato l’intervento straniero nel paese (un non troppo velato riferimento a Teheran), aver disobbedito ai governanti e essersi ribellato alle forze di sicurezza”. A nulla sono valsi gli appelli in giudizio, rigettati già nel mese di ottobre, subito dopo la condanna. L’unica via di salvezza per Sheikh al-Nimr sarebbe stata la grazia di re Salman.

 

La decisione della condanna a morte e dell’esecuzione sono state ben calibrate in questo momento storico. Non si è inteso prendere di mira solo la minoranza sciita presente in Arabia Saudita  – circa due milioni di sciiti, 10-15 per cento della popolazione, concentrati soprattutto nella Provincia Orientale – ma, soprattutto, mandare un messaggio chiaro all’Iran, dove lo sciismo è al potere dalla rivoluzione del febbraio 1979 realizzata dall’ayatollah Khomeini. Da tempo si combatte una guerra per procura fra i due Paesi su vari territori del Medio Oriente e in vari Paesi musulmani. Inoltre, la situazione è resa ancora più complessa dalla classe degli sheikh wahhabiti che legittimano la monarchia saudita e continuano a chiedere a gran voce l’estirpazione di qualsiasi eresia (è così che viene considerato lo sciismo) dalla terra santa dell’islam.

(fine prima parte)

Fonti: Ispi e AsiaNews

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