Investimenti e solidarietà per salvare l’Europa

Grecia e non solo. Il fallimento non giova a nessuno. E per l'Italia può profilarsi una situazione analoga? Rafforzare la collaborazione tra i Paesi dell'Unione è la strada da percorrere
Europa

Cerchiamo di rispondere alla domanda sulla possibile salvezza della Grecia dal tracollo economico e sociale. Purtroppo, una volta che le crisi sono scoppiate e si è instaurato un clima di paura nel futuro e di sfiducia nelle istituzioni economiche, non è facile porvi rimedio.

In questo momento la Grecia, oltre ad avere un'economia depressa (con conseguente disoccupazione, fallimenti e povertà), corre un pericolo immediato: una corsa agli sportelli da parte dei depositanti. Una prima ragione è che se il Paese abbandonasse l'euro è possibile che i depositi dei loro risparmi sarebbero convertiti in dracme, che presumibilmente si
deprezzerebbero del 40-50 per cento. Ma poi, se ci fosse un tracollo finanziario, la garanzia di cui godono i depositi in caso di fallimento delle banche potrebbe rivelarsi illusoria. Una prima cosa che in questo momento è possibile fare per la Grecia è far sì che a garantire i depositi bancari sia l'Unione europea, e non i singoli Stati. La cosa potrebbe rivelarsi costosa per chi accettasse di accollarsi questo rischio (alla fin fine sarebbero i Paesi finanziariamente più solidi, in particolare la Germania).

Unica consolazione è che le perdite per il resto dell'Europa non sarebbero affatto minori nel caso di un crollo finanziario della Grecia, che potrebbe essere seguito dal crollo a catena di altri paesi del Sud Europa. Come a dire che garantendo i depositi dei greci non si sa se il resto dell'Europa aiuti di più loro o sé stessa. Sarebbe comunque un segno concreto che l'appartenenza all'Unione e all'euro non è solo un insieme di vincoli, ma anche effettiva solidarietà.

Un'altra forma di aiuto di cui si è molto discusso e che, spero, si concretizzerà è il finanziamento di grandi progetti di investimento nei Paesi più in difficoltà da parte dell'Unione europea (che per far questo emetterebbe i cosiddetti project bond). I vantaggi per la Grecia sarebbero molti: la creazione di posti di lavoro, che metterebbe in moto il circolo virtuoso "nuova spesa-maggiore produzione-maggiore occupazione-maggiori redditi-maggiore spesa…"; poi, in prospettiva, un miglioramento della sua dotazione di infrastrutture (ad esempio portuali, o informatiche); e ancora, cosa non meno importante, questo sarebbe un segno di speranza per il futuro in un momento in cui tutto parla di peggioramento, di nuove sciagure, di dissesti.

Ma quanto detto ci pone altre domande stringenti. E cioè: possiamo prevedere che altri Paesi come la Spagna o l'Italia possano trovarsi, a breve, nella stessa situazione della Grecia? Spero proprio di no. Un default non conviene proprio a nessuno, neanche a chi oggi fa grandi profitti sulle oscillazioni quotidiane del famigerato spread o, il che è lo stesso, del prezzo dei nostri titoli pubblici nei mercati finanziari. Con il default, anziché un Paese impegnato a lavorare per dedicare una parte ragionevole dei propri guadagni a ripagare i prestiti ottenuti, mantenendo così la propria credibilità, avremmo pesanti conseguenze prima di tutto sul sistema bancario, con pesanti ricadute sulle imprese, l'occupazione, i redditi delle famiglie, e anche i nostri creditori esterni resterebbero con un pugno di mosche. Il paradosso è che se i tassi sui nostri titoli potessero tornare al 3-4 per cento, lo Stato italiano riuscirebbe a pagare quanto dovuto anche riducendo un po' il carico fiscale rispetto ai livelli attuali, e così i suoi creditori potrebbero stare tranquilli; invece, la paura del default, che porta i tassi di interesse al 6-7 per cento rischia di provocarlo davvero, danneggiando così sia noi che i nostri creditori. 

È per questo che l'Europa, se non vuole restare una flottiglia di barchette in balia delle onde dei mercati finanziari, deve rafforzare la collaborazione finanziaria tra i Paesi che la compongono. Il che non vuol dire che anche all'interno di ciascun Paese non si possa e non si debba fare di più. Un suggerimento interessante per ridurre il debito pubblico, ad esempio, è quello proposto da Alberto Ferrucci sulle colonne di "Città Nuova". La creazione di un fondo che acquisti e valorizzi la parte più facilmente liquidabile delle proprietà immobiliari pubbliche, finanziato da sottoscrizioni obbligatorie da parte dei possessori di ingenti patrimoni finanziari (non una tassa patrimoniale, quindi, ma un investimento finanziario coatto, che non è detto, però, che debba  rivelarsi un cattivo affare per i partecipanti).

Anche nel caso della Spagna un default sarebbe controproducente. Il debito pubblico spagnolo è minore del nostro, ma lì c'è un altro problema: un enorme volume di crediti che le banche avevano sconsideratamente concesso per la costruzione di un numero esagerato di case e che ora, dopo il crollo dei valori immobiliari, non saranno mai ripagati; e quindi ora sono le
banche che rischiano di saltare. Ma la soluzione più conveniente per tutti è che le banche (non i loro dirigenti) siano salvate, magari con l'intervento del Fondo europeo recentemente creato per salvaguardare la stabilità finanziaria.  

 
 

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