A chi interessa, davvero, la famiglia?

La conferenza internazionale in programma a Verona è estranea al percorso delle maggiori organizzazioni cattoliche. Un evento connotato politicamente che produce inevitabili polemiche. Resta l’urgenza di un dialogo reale su vita e dignità umana
Cristian Gennari

A fine marzo è in programma a Verona una manifestazione di tre giorni, dedicata alla famiglia, che è al centro di alcune prevedibili polemiche. Si tratta di un congresso collegato a un’organizzazione internazionale statunitense promossa da realtà vicine al mondo delle nuove Chiese evangeliche cosiddette fondamentaliste, in forte crescita, tra l’altro, nel continente sudamericano. I grandi eventi di tale organizzazione, e dei suoi partner, riescono a coagulare credenti e sensibilità di diverse confessioni cristiane, con particolare adesione dall’area dell’Europa dell’Est del post dominio sovietico.

Per essere chiari ed evitare confusioni, nel mare delle sigle possibili, alla kermesse che si terrà nella città scaligera non partecipano, in alcun modo, le grandi organizzazioni e associazioni del mondo cattolico. A cominciare dal Forum delle associazioni familiari, che è sempre in prima linea nella promozione della famiglia intesa costituzionalmente come «società naturale fondata sul matrimonio».

Ovviamente, ognuno, a livello personale o come qualsiasi altra aggregazione associativa, può aderire, a diverso titolo, a qualsiasi iniziativa che ritenga giusto sostenere. Quella di Verona palesa un forte legame con la presenza del ministro per la Famiglia, e delega alla disabilità, Lorenzo Fontana, esponente leghista vicino alle posizioni di Reazione identitaria, espressione di certi settori tradizionalisti.

Attesa e determinante la presenza del leader della Lega, Matteo Salvini, che, com’è noto, non teme di usare simboli religiosi in campo politico per attrarre consensi ed ergersi a difensore dell’italianità. Mentre il declinante M5S gioca, in questo caso, la carta della parte avversa del duopolio al governo.

Bisogna riconoscere che, nel nostro Paese, permangono tanti nodi irrisolti, come la questione della completa applicazione della legge 194 che a 40 anni dalla sua approvazione è rimasta lettera morta negli articoli che prevedono la messa in atto di strategie preventive dell’aborto per quello che è e rimane un dramma.

L’impegno comune a 360 gradi a favore della vita e della dignità di ogni essere umano dovrebbe condurre ad affrontare la questione in una nuova prospettiva. E, invece, ogni volta che si sfiora questo argomento, si arriva allo scontro.

Se quindi è dannoso, e strumentale, aizzare, in tanti modi, il conflitto, è, anche, evidente che non si possono rimuovere questioni che non sono solo “sensibili” ma fondano il legame sociale. Così dicasi per l’eutanasia, le sperimentazioni genetiche, un’errata concezione di uguaglianza che vorrebbe mettere in crisi l’idea di differenza sessuale, gli escamotage che consentono il ricorso alla maternità surrogata e la natura stessa del matrimonio.

Su queste frontiere è l’area del centrosinistra, che manifesta parecchie incertezze o chiusure pregiudiziali. Il Pd, ad esempio, dovrebbe chiarire se al proprio interno possono avere cittadinanza posizioni opposte a quelle prevalenti del laicismo oltranzista.

E non come questioni da affidare solo alla coscienza interiore del singolo, ma come prese di posizione di un vero dibattito politico. Perché, altrimenti, al di là della retorica dell’inclusione enunciata da Zingaretti, si conferma l’analisi di Augusto Del Noce sull’involuzione della sinistra italiana come “partito radicale di massa”, sempre meno attento alle questioni sociali. E come si possono affrontare le sfide delle crescenti diseguaglianze ignorando il parametro familiare?

In una società pluralistica, si pongono le cosiddette “leggi imperfette” come realizzazione del bene possibile in un determinato momento storico tra visioni etiche differenti. Per questo, bisogna sempre interrogarsi laicamente, non per motivi confessionali, su ciò che, secondo coscienza, non può essere accettabile. Anche se ciò porta alla perdita del consenso o all’esclusione dal partito, come dimostrano i recenti casi di obiezione al Decreto Sicurezza, una legge contraria all’accoglienza delle persone migranti.

Esistono nella società tracce di un vero dialogo in positiivo su questioni così laceranti. Spesso incentivate dallo smarrimento comune davanti al potere crescente della tecnica, come testimonia la riflessione sulla “emergenza antropologica” proposta da pensatori del calibro di Mario Tronti e altri. Ma hanno poco ascolto quando si scatenano polemiche crescenti come quelle che accompagnano inevitabilmente l’evento di Verona.

A chi giova?

Nel 2015 papa Francesco ha spiazzato le categorie fino ad allora dominanti rivolgendosi così all’associazione Scienza e Vita: «Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente».

Ci sono, quindi, spazi sconfinati da esplorare per coloro che vogliono davvero confrontarsi sulla sfida di un umanesimo integrale.

Per questo, ripartire dalla famiglia presa nella sua realtà, con limiti e fragilità, sofferenze e contraddizioni, ma naturalmente luogo di accoglienza delle differenze e non di esclusione, può essere un laboratorio civile, generatore di condivisione e solidarietà, indispensabile in un Paese oggi così diviso.

 

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