Inquinamento e pandemia da Covid-19, quale legame?

Migliora la qualità dell’aria in Europa ma sarà solo momentanea? Perché c’è stata un’alta diffusione del Covid-19 nelle aree maggiormente inquinate?
Claudio Furlan / lapresse Smog e inquinamento a Milano Nella foto: Torre Isozaki

Nell’ultimo mese è crollato l’inquinamento su molte capitali europee, comprese Roma, Madrid e Parigi. Ci sono molte meno auto in giro a causa delle misure di contenimento e del blocco delle attività messe in atto per fronteggiare l’emergenza da coronavirus.

Ne danno conferma anche le immagini del satellite Sentinel-5P, del programma Copernicus gestito dall’Agenzia Spaziale Europea e dalla Commissione Europea.

Il satellite Sentinel-5P ha fornito una mappa dell’inquinamento atmosferico in Europa dal 14 al 25 marzo 2020, mostrando una significativa diminuzione – rispetto allo stesso periodo del 2019 – delle concentrazioni di biossido di azoto.

Nel 2020 quindi ci saranno meno emissioni di gas serra anche in Italia ma questo calo potrebbe essere solo di breve termine perché manca un processo di decarbonizzazione strutturale che guardi avanti, per i prossimi 10 o 15 anni.

Il legame inquinamento-Covid

Il recente studio di Harvard University T.H. Chan School of Public Health, che correla inquinamento e diffusione del Covid-19 sollecita una riflessione importante.

I pazienti di coronavirus nelle aree ad alto inquinamento prima della pandemia hanno maggiori probabilità di morire a causa dell’infezione rispetto a pazienti che hanno vissuto in aeree più pulite degli Stati Uniti.

«Dobbiamo essere consapevoli che va fatta un’analisi di dettaglio – afferma il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro durante una delle ultime conferenze stampa all’Istituto -. Dobbiamo approfondire questo argomento e i ricercatori dell’Iss lavoreranno su questo tipo di scenario».

«I risultati di questo studio – secondo i ricercatori americani – suggeriscono che un’esposizione prolungata all’inquinamento aumenta la vulnerabilità a sperimentare i risultati peggiori dal coronavirus».

In Italia ci ha pensato l’università di Catania ad approfondire tale legame. Lavorando su dati Istat, Istituto superiore della Sanità e altre agenzie europee hanno prodotto il rapporto ‘Strategies to mitigate the Covid-19 pandemic risk’ che spiega come «il nostro indice di rischio epidemico mostra forti correlazioni con i dati ufficiali disponibili dell’epidemia Covid-19 in Italia ».

Ecco perché «regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto stiano soffrendo molto di più rispetto al centro-sud. D’altra parte queste sono anche le stesse regioni che solitamente subiscono il maggiore impatto (in termini di casi gravi e decessi) anche per le influenze stagionali – continuano i ricercatori siciliani -, come rivelano i dati dell’Iss. Riteniamo quindi che non sia un caso che la pandemia di Covid-19 si sia diffusa più rapidamente proprio in quelle regioni con un più alto rischio epidemico come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto».

Per i ricercatori i dati lasciano ben sperare per il centro-sud, dove molto probabilmente «l’impatto di questa pandemia e di possibili altre ondate future sarà sempre più lieve in termini di casi gravi e decessi a causa del minor rischio epidemico legato ai fattori strutturali trovati».

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