Inizia la nuova legislatura

Insediati gli eletti di Camera e Senato, la votazione sui presidenti assomiglia ad una partita a scacchi tra gruppi compatti e non inclini agli accordi. Le possibili mosse sperando che prevalga il senso delle istituzioni, senza inciuci e sterili ripicche

Con la giornata di venerdì 23 marzo, iniziano a sciorinarsi i passaggi istituzionali della XVIII legislatura: insediamento delle Camere, costituzione degli Uffici di presidenza provvisori e via alle votazioni per l’elezione dei due presidenti. Una partita a scacchi che, come si conviene, vede protagoniste le regole, divergenti tra le due Camere.

Per il Senato l’incombenza è un po’ più semplice perché il regolamento prevede la maggioranza assoluta dei voti dei componenti per i primi due scrutini; dalla terza votazione, che deve avvenire il giorno successivo, è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti dei presenti, computando tra i voti anche le schede bianche. Se neanche in questo caso si arriva all’elezione, si «procede nello stesso giorno al ballottaggio fra i due candidati che hanno ottenuto nel precedente scrutinio il maggior numero di voti e viene proclamato eletto quello che consegue la maggioranza, anche se relativa. A parità di voti è eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età». Sabato 24 quindi avremo il presidente del Senato.

L’elezione del presidente della Camera potrebbe invece richiedere più tempo perché non prevede ballottaggio. Dopo il primo scrutinio a maggioranza dei due terzi dei componenti, dal secondo è richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti, dice il regolamento, il che vuol dire che si passa dai componenti ai votanti, computando tra i voti anche le schede bianche.  Dal quarto scrutinio, conclude la disposizione regolamentare, «è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti». Una formulazione che parrebbe accomodante, e lo è se nella Camera è presente una maggioranza certa, come è stato nella legislatura uscente, quando la coalizione di centro-sinistra aveva ottenuto il premio di maggioranza previsto dalla legge Calderoli e Laura Boldrini fu eletta appunto al quarto scrutinio.

Ma stavolta le due Camere sono espressione di una specie di paradosso: di gran lunga meno frammentate delle precedenti ma meno duttili alla formazione di una maggioranza. Se aggiungiamo il voto segreto, la partita si fa del tutto imprevedibile. Nelle due settimane e più trascorse dai risultati elettorali, abbiamo assistito all’avvio delle trattative tra le forze politiche, contatti che hanno come protagonisti i capi delle due forze politiche che hanno beneficiato di un esito migliore, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ogni giorno però il quadro muta come un caleidoscopio che reagisce alla notizia di una riunione programmata o esclusa, di una telefonata partita o no. Un punto sul quale al momento pare si sia fatta chiarezza è la funzione di Salvini come espressione di tutto il centro-destra, questione che è stata oggetto di apposita riunione presso Berlusconi culminata con un comunicato stampa che convoca Di Maio al tavolo con le tre componenti: Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia.

Alla luce del protagonismo Salvini-Di Maio andato in scena nei giorni precedenti, la riconferma della coalizione è una mossa del cavallo che rimette in gioco un Berlusconi finito all’angolo e allontana le possibilità di accordo tra M5S e Lega.

Torna quindi centrale il Pd. Apparentemente sull’Aventino del “noi siamo all’opposizione”, se lo si pensa seduto sulla sponda del fiume forse ci si azzecca. Renziani a parte, ma questo è un altro discorso. Quando i tempi saranno maturi e toccherà al presidente Mattarella prendere in mano la situazione, sull’Aventino ci potrebbe essere un cambio di… popolazione. Qualcosa si capirà già dalla elezione del presidente del Senato: se il nominativo di Paolo Romani, candidato di Forza Italia non gradito ai 5 Stelle per problemi di giustizia, dovesse andare avanti, vorrebbe dire che il Pd ha deciso di sparigliare le carte e dire la sua. Il che avrebbe riverbero anche alla Camera.

Che possiamo aspettarci noi cittadini? Una cosa semplice e necessaria: che i presidenti dei due rami del Parlamento siano frutto di accordi trasparenti intorno a figure di alto profilo, il che vuol dire avere ben chiaro il confine con l’inciucio e la ripicca.

 

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