India, ancora atrocità sulle donne

Gli abusi commessi contro due ragazzine, violentate e uccise nell'Uttar Pradesh, e trovate impiccate ad un albero, continuano a scuotere il Paese e la comunità internazionale. Ora tocca al nuovo premier Modi mettere fine a queste violenze e alle discriminazioni nei confronti degli "intoccabili"
India

La notizia e le immagine delle due ragazzine stuprate ed uccise in un villaggio dello stato settentrionale dell’Uttar Pradesh in India hanno suscitato scalpore e raccapriccio e riportato alla ribalta la violenza sulle donne perpetrata nel sub-continente. La dinamica è stata di una violenza inaudita e le due cugine hanno dovuto subire violenze prima di essere eliminate come oggetti che non servono più o che potrebbero essere pericolosi. Nonostante questo, sono stati arrestati cinque uomini, fra i quali tre poliziotti. La cosa non rappresenta una novità. Spesso, proprio uomini della polizia favoriscono con connivenze subdole, o come protagonisti in prima persona, atti di questo tipo.

Nel caso avvenuto nel villaggio di Karta (distretto di Badaun, Uttar Pradesh) la situazione è aggravata dal trattamento ricevuto dal padre di una delle ragazzine, da parte di alcuni agenti. Una volta che l’uomo si era reso conto della loro scomparsa, recatosi al commissariato locale per denunciare l'accaduto, era stato ignorato e la sua denuncia messa da parte. L’uomo ha poi raccontato che aveva avuto subito l’impressione che gli agenti "volessero difendere i colpevoli". Al ritrovamento dei due corpi, di fronte ad una folla minacciosa le forze dell'ordine hanno emesso un mandato d'arresto per sette persone, riuscendo a catturarne cinque.

Il nuovo caso, nella sua orrenda tragicità, riporta in primo piano l’apparente inarrestabile situazione di violenza in cui la donna vive ancora in molti angoli del mondo e, in particolare, in India. Il problema delle atrocità di questi giorni, tuttavia, non è solo di violenza dell’uomo sulla donna. Per comprenderlo è necessario tener conto dei retaggi castali che sono radicati nell’immaginario e nella vita della gente dei villaggi dell’immenso Paese asiatico.

Le due ragazzine, infatti, appartenevano ad una famiglia di ‘dalit’, i fuori casta, chiamati anche ‘intoccabili’ o da Gandhi ribattezzati ‘Harijans’. Questa fetta di società, molto numerosa fra l’altro, nell’immensa folla indiana continua ad essere considerata ai margini del mondo indiana, nonostante la Costituzione condanni l’intoccabilità come un crimine. Lo stigma sociale permane e non muta nemmeno se persone che appartengono a questi strati sociali cambiano luogo di residenza o, persino, religione. A tutti gli effetti restano ‘fuori casta’ e possono essere oggetto di sfruttamento e violenza di ogni tipo, senza che tali atti vengano, poi, puniti.

Per comprendere la gravità del problema, basta ricordare quanto Hillary Mayel scrisse 11 anni fa sul National Geographic: “Ogni due ore un Dalit viene assalito, ogni giorno tre donne Dalit sono violentate, due Dalit assassinate e due delle loro case date alle fiamme”. Le statistiche sono raccapriccianti, ma un editorialista indiano del quotidiano The Hindu affermava in questi giorni che sarebbe necessario aggiornarle. C’è stato, infatti, un aumento agghiacciante di violenza nei confronti dei Dalits. Sono proprio atti del genere che mettono il neo Primo Ministro Modi di fronte ad una situazione paradossale. L’India è, ormai, un gigante nel panorama mondiale, il suo Pil continua crescere, sia pure non come qualche anno fa, il suo peso geo-politico è innegabile, l’ascesi della classe media e medio alta continua inarrestabile, eppure, allo stesso tempo, si trova a fare i conti con questioni che continuano da centinaia di anni. È una contraddizione difficile da accettare, e che senza dubbio incrina anche l’ottimismo di Narendra Modi e della sua ormai celebre frase all’annuncio del risultato delle recenti elezioni: “Achha din!” – è una buona giornata! Modi si trova fin dai primissimi giorni del suo mandato nella posizione di rassicurare il mondo sulla posizione dell’India nei confronti delle minoranze, ma anche dei diritti dei ‘dalit’ e delle donne. L’immagine del paese viene pericolosamente compromessa da fatti come quello dell’Uttar Pradesh.

L’editorialista del quotidiano The Hindu, a cui accennavo sopra, ha sottolineato come in India si tenda a trattare il problema delle caste e, soprattutto, quello dell’intoccabilità a mo’ dello struzzo che nasconde il suo becco ed il suo collo nella sabbia. Varie misure che sono state adottate negli ultimi cinquant’anni per cercare di alleggerire o sfumare progressivamente la connotazione dell’intoccabilità – per esempio riservare alcuni posti in ambito scolastico ed universitario o nell’impiego pubblico – a coloro che vengono definiti di gruppi o comunità riconosciuti in una certa lista (scheduled castes e scheduled tribes) si è rivelato un pericoloso boomerang. Ha, infatti, da una parte perpetuato il destino della discriminazione nei confronti di questi strati sociali e, dall’altro, causato atrocità indescrivibili nei loro confronti da parte di coloro – gruppi sociali più elevati nella scala castale – che si sentono deprivati dei diritti sanciti da secoli di tradizioni e da certi testi che vengono considerati sacri. In particolare, uno di essi – il Codice di Manu – sancisce i costumi e le usanze socio-religiose dando alla separazione in caste e fra caste e fuori casta un fondamento divino e religioso.

Come è stato osservato, tuttavia, anche se fondati su concetti e principi espressi in questo testo le motivazioni delle atrocità nei confronti dei dalits, non possono e non debbono essere ricondotte tout court ad esso. Nel corso delle riforme che hanno caratterizzato l’India post-Indipendenza si è cercato di dare maggiori diritti a molti che non li avevano. I processi interni che tali riforme hanno creato sono sfociati in alleanze subdole fra shudra – la casta più bassa del sistema, ma superiore ai dalit, che vengono considerati addirittura fuori del sistema stesso – e proprietari terrieri, spesso noti per essere senza scrupoli. Questa alleanza ha ulteriormente discriminato i dalit, creando nuovi sfruttatori, spesso più crudeli di coloro che si trovano nei gradini più alti del sistema. La legge indiana prevede colpe esemplari contro chi commette atrocità, ma la stessa denuncia da parte di dalits, oggetto di minacce o violenza si può trasformare in una vendetta di massa contro chi ha esposto denuncia o contro dalit di altri villaggi vicini.

Il sistema, quindi, è assai complesso e crudele. Un governo, come quello di Modi o di chiunque altro, non potrà pretendere di risolvere questi nodi millenari. Quello che si potrebbe fare sarebbe di assicurare un’educazione adeguata a livello di villaggi e distretti. Solo la scolarità e la formazione possono sortire risultati, anche se i tempi, una volta che ci si impegnasse con programmi precisi, sarebbero lunghi, come sono secolari certi meccanismi sociali. Senza dubbio, la grande ascesa finanziaria ed economica del Paese potrebbe essere messa al servizio di questi nodi. Basta pensare alle grandi famiglie di industriali indiani di fine secolo XIX e del secolo scorso – i Tata, i Godrej, i Mahindra – che hanno creato, oltre a ricchezza, anche un servizio alla comunità con progetti sociali, educativi e sanitari nei villaggi. Una ricaduta sul territorio del grande boom economico indiano potrebbe essere una risposta sostenibile anche se su tempi lunghi, molto lunghi, a molte criticità che il Paese si trova ad affrontare, non ultima quella della violenza sui dalits e sulle donne.

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