In mezzo alla piazza violata

  Una testimonianza da piazza San Giovanni e alcuni interrogativi. Dal nostro inviato alla manifestazione romana del 15 ottobre 2011 indetta, in collegamento con le rivendicazioni del movimento pacifico Occupy Wall Street,  contro il dominio del capitalismo finanziario  
Piazza di san Giovanni
Missione compiuta. Non hanno potuto parlare Vincenzo, cassintegrato Fiat, Arianna, precaria della scuola, Miriam e Jamal , palestinesi, Gianluca, licenziato da Generali, per citare solo alcuni dei numerosi interventi programmati.
La piazza è rimasta vuota, con le persone impaurite che scappano per il timore di rimanere intrappolate dentro una strategia di guerriglia organizzata scientificamente.
Semplice, troppo semplice. Anche perché, la possibile presenza di gruppi violenti all’interno della manifestazione del 15 ottobre, era stata annunciata da tempo. Non tutti portano caschi e cappucci, come si può vedere sfilando con i manifestanti e le immagini diffuse in tivù lo documentano in modo palese.
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Che significa, allora, la sigla generica black bloc? Perché, pur conoscendone in anticipo le mosse, non si riesce a intercettarli e renderli inoffensivi? Non ci riesce la polizia così comei manifestanti pacifici che non hanno una forza organizzata di interposizione. E questo è un tema che non potrà più essere omesso da ora in poi, in vista di altre manifestazioni e nell’agenda di chi deve garantire la sicurezza.

Quando ancora la testa del corteo deve arrivare in piazza san Giovanni, l’area è già piena di gente che attende, seduta per terra in tanti circoli, con qualcuno che balla al ritmo di una musica improvvisata da gruppi di percussionisti.
Attorno al monumento di san Francesco è allestito l’infopoint degli organizzatori con numerosi disabili che issano cartelli contro i tagli indiscriminati all’assistenza sociale. L’intero settore, con la presenza, anche di bambini, si dichiarava area “apartitica e non violenta” con uno striscione alzato da palloncini con sopra scritto “il fine non giustifica i mezzi”.
 ANSA/MASSIMO PERCOSSI

ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Poi, come racconta Claudia, una giovane alla sua prima manifestazione,«ti giri e vedi uno strano fumo nero sui tetti delle case e in un attimo tutto precipita: prima arriva un’ondata di persone che corre impazzita senza una vera meta. Presi dal panico, cominciamo a disperderci agli angoli della piazza, poi, a forte velocità, fanno il loro ingresso in piazza gli idranti della polizia che gettano acqua su chiunque si trovi nel loro raggio d’azione, seguiti, a ruota, da camionette della polizia che sopraggiungono sempre ad alta velocità. Ogni strada, vicolo, palazzo diventa una via di fuga e un possibile pericolo. Chi sono le persone che vedi correre accanto a te? La polizia ci caricherà? ».

Di fronte alle macchine date alle fiamme, ai blindati dei carabinieri aggrediti con tecnica militare, Claudia, come molti altri,  se ne va via mente altri, già in marcia, rinunciano ad avvicinarsi.
Chi si è trovato, con i gas che arrivano in gola, davanti la basilica non sa davvero cosa fare, quando, inaspettatamente, si aprono le porte del giardino laterale, dove entra una folla che è ancora incredula mentre varca il portone di uscita dell’università pontificia.
«Addirittura ci hanno dato dell’acqua» sorride una ragazza. Un semplice gesto evangelico, che viene considerato eccezionale perché compiuto dalla Chiesa: materiale da scriverci un trattato.
Eppure, poco più in là, davanti la Scala santa, c’è padre Zanotelli che raccoglie il proprio striscione sull’acqua pubblica. Il religioso gira lo Stivale per incontrare tanti gruppi, piccoli o grandi, che lo riconoscono come punto di riferimento di una scelta cristiana che parte dagli ultimi. Sta lì, senza codazzi, anche lui inerme in quella bolgia.
Un vero e proprio popolo variopinto e creativo, pieno di storie da condividere per capire come reagire alla dittatura della finanza, quello in marcia verso San Giovanni e poi dirottato al Circo Massimo.
 ANSA/ALESSANDRO DI MEO

ANSA/ALESSANDRO DI MEO

È ancora una moltitudine, nonostante i disordini e le fughe. Mentre si fa sera, in cielo si alzano colonne di fumo e le agenzie dettano le prime dichiarazioni di rito sui violenti che naturalmente si sono accaparrati gli spazi di tutti i media.

È l’ora in cui cambiano di turno gli addetti della sala Bingo vicino al metrò del ritorno. Il sistema continua a girare, incurante dei disordini creati ad arte.
Per strada non c’era nessun bankster – l’incrocio tra banchiere e gangster, definizione degli anni ’30, tornata di moda – nessun esponente delle società speculative contestati dalla piazza e che, magari, nello stesso momento stavano giocando a golf in qualche club esclusivo.
Anche a volerlo giustificare, mentre fioccano le dichiarazioni di condanna, ci si chiede insistentemente a che serve l’uso della violenza? O meglio, a chi?

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