In cammino per la legalità

Da Cuernavaca a Ciudad Juarez, la Carovana per la pace ha percorso il Paese per chiedere al governo un'azione vasta che coinvolga la società civile
carovana messico

La Carovana per la pace, giustizia e dignità ha concluso il suo itinerario di cinque giorni nella città emblema dell’impunità che avvolge gli omicidi più efferati degli ultimi anni: Ciudad Juarez, alla frontiera con gli Stati Uniti, abbandonata da migliaia di famiglie che per paura hanno lasciato le loro case verso la sicurezza del potente vicino o di altri Stati del Messico.

 

Generalmente scettici verso le manifestazioni, questa volta gli abitanti di Juarez sono accorsi numerosi, convinti dalle genuine intenzioni di Javier Sicilia: un poeta e scrittore molto apprezzato, uomo di una profonda fede religiosa da cui ha attinto i valori più alti dell’amore al prossimo e al nemico per controllare gli impulsi violenti di alcune componenti del movimento. Il suo discorso di denuncia della corruzione e dell’inefficienza della lotta contro i cartelli della droga si è ripetuto lungo i 3000 km del percorso partito da Cuernavaca, vicino alla capitale, attraverso gli stati più colpiti da questa tragedia.

 

Culmine dell’iniziativa è stato la firma simbolica di un documento programmatico presentato alla manifestazione dell’8 maggio a Città del Messico, che ha saputo raccogliere come pochi l’adesione di un’ampia parte della società. Una carovana segnata dal protagonismo di centinaia di familiari di vittime, che in ogni tappa testimoniavano nelle piazze il dolore senza risposta insieme al ricordo dei loro cari.

 

Javier Sicilia è appunto una delle vittime della guerra alla delinquenza organizzata, intrapresa sin dall’inizio del mandato dall’attuale presidente Felipe Calderón contro le cosche di narcotrafficanti, responsabili, oltre che del traffico illegale di droghe, anche di sequestri, attentati e scontri fra bande per disputarsi i territori. Il figlio di Javier, Juan Francisco, era in compagnia di alcuni amici, qualcuno dei quali un paio di giorni prima aveva avuto un contatto accidentale con una di queste bande: per impedire una possibile denuncia furono sequestrati da un commando e trucidati senza pietà. Un episodio fra moltissimi che macchiano il Paese di sangue innocente e che troppo spesso le autorità non riescono a contenere, né a prevenire, né a punire.

 

In molti casi sono i familiari che, stanchi dell’inefficienza della polizia, si tramutano in investigatori. In questo caso Javier Sicilia ha tirato fuori dalla tragedia personale una decisione morale orientata a alzare la voce a scuotere le coscienze paralizzate dalla paura, dall’indifferenza o dall’assuefazione, e sensibilizzare singoli e gruppi per suscitare un movimento di protesta contro la politica dello Stato basata quasi esclusivamente nella militarizzazione della lotta contro i cartelli della droga.

 

Tale scelta, giudicata necessaria dal governo, ha avuto come risultato la detenzione di parecchi signori della droga, ma allo stesso tempo ha esacerbato la lotta e innescato un crescendo di violenza sopratutto negli stati del nord, che ha coinvolto molti civili, oltre ai militari e i delinquenti. Si calcolano circa 37 mila morti per diversi “successi” legati a questa “guerra” – cosí definita dallo stesso presidente – nei cinque anni del suo mandato.

 

I promotori della Carovana, coscienti che il cammino intrapreso è solo una parte di un processo più ampio, nel documento conclusivo chiedono fra l’altro un cambiamento della strategia del governo che tenga conto di misure complementari alla lotta frontale, come la ricostruzione del tessuto sociale di intere regioni, con particolare attenzione ai giovani (facili prede delle cosche) per fornire reali opportunità di lavoro e di studio, lotta alla corruzione dilagante tra le forze dell’ordine, professionalizzazione dei corpi di polizia, interventi nei circuiti finanziari per colpire il riciclaggio del denaro e il ripiegamento graduale dei militari. Inoltre nel campo della politica, ritenuta corresponsabile di questa deriva sociale, si chiede la creazione di meccanismi di partecipazione cittadina tramite referendum popolari e possibilità di revoca dei mandati alle autorità elette.

 

Nel frattempo i partiti vivono nel loro pianeta abitato da elettori-clienti, scandito dal ritmo della serie (interminable, in alcuni Stati Federativi) di elezioni, senza saper articolare una posizione comune e univoca che darebbe più aria alle richieste del movimento. La Chiesa, da parte sua, ha dato un tiepido appoggio attraverso il portavoce della Conferenza dei vescovi e del vescovo di Saltillo, firmatario del documento finale.

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