Il variopinto mondo dell’atletica leggera

Non solo Kenya, Giamaica e Stati Uniti. Sul podio dei mondiali di Pechino vecchi e nuovi campioni provenienti da ogni angolo del pianeta. Per l’Italia, invece, un bilancio fallimentare
Palloncini in campo per la cerimonia di chiusura dei Campionati del mondo di Atletica di Pechino

Prestazioni tecniche di altissimo livello, incertezza ed emozioni a non finire, un vero tripudio di razze e di colori nello sport più globale e imprevedibile che ci sia: benvenuti nel variopinto mondo dell’atletica leggera! Nei giorni scorsi, a Pechino, è andata in scena la quindicesima edizione dei campionati mondiali di questa disciplina, una manifestazione che ha avuto inizio nel 1983 e che ormai è da annoverare tra gli eventi più seguiti nel panorama sportivo internazionale, forse seconda per importanza solo a Olimpiadi e mondiali di calcio. Si è gareggiato all’interno del “nido d’uccello”, com’è stato ribattezzato il bellissimo impianto che è stato il fulcro delle Olimpiadi del 2008. Nove giorni di gare che non hanno deluso i tantissimi appassionati di questo sport, e che hanno dimostrato, ancora una volta, l’universalità dell’atletica leggera.

 

Pensate che alla fine sono riusciti a salire sul podio atleti provenienti da ben 43 diverse nazioni, e che le 47 medaglie d’oro in palio sono state vinte da rappresentanti di 19 diversi Paesi, una situazione davvero unica nel panorama sportivo internazionale. Certo, come ogni sport anche nell’atletica ci sono alcune nazioni guida. Nel medagliere finale di questa edizione dei mondiali, ad esempio, svettano Kenya, Giamaica e Stati Uniti, Paesi capaci di crescere con una certa continuità atleti che sappiano primeggiare a livello mondiale. Ma il bello dell’atletica è che puoi vedere sbucare improvvisamente, da un qualsiasi angolo del pianeta, uno sportivo capace di battersi ad armi pari con i migliori.

 

Insieme alle “vecchie potenze”, alle star dell’atletica planetaria, possono ritagliarsi uno spazio da protagonisti anche atleti provenienti da Paesi con scarsa tradizione in questo sport (l’Egitto, ad esempio, non aveva mai vinto una medaglia iridata o olimpica e ha colmato questa “lacuna” grazie al secondo posto ottenuto da Ihab El-Sayed nel giavellotto maschile). Oppure, possono raggiungere una finale mondiale ragazze e ragazzi arrivati da qualche isola sperduta com’è successo nell’alto femminile, dove a riuscire nell’impresa sono state due sportive dell’Isola di Santa Lucia, o come accaduto nella staffetta 4×100 maschile, dove al sesto posto si sono classificati gli sprinter provenienti da Antigua e Barbuda.

 

Kenya, Giamaica e Stati Uniti, dicevamo, sono state le nazioni migliori di questa rassegna iridata. Lo Stato dell’Africa Centrale è tornato a casa con il ragguardevole bottino complessivo di sette medaglie d’oro, sei d’argento e tre di bronzo. Ormai i rappresentati degli altopiani non primeggiano solo nelle prove di maratona, di mezzofondo e tra le siepi, come accade già da un po’ di tempo, ma ultimamente riescono a imporsi anche in altre specialità, come dimostrano le vittorie ottenute a livello maschile da Nicholas Bett nei 400 ostacoli e da Julius Yego nel lancio del giavellotto. Molto bene anche i rappresentanti dello stato caraibico, alla fine secondi dietro il Kenya nel medagliere generale, guidati neanche a dirlo da Usain Bolt, vera e propria icona di questo sport che proprio nello stesso impianto, sette anni fa, durante le Olimpiadi del 2008 dava il via alla sua “leggenda” …

 

A Pechino si è visto un Bolt un po’ meno “marziano” e un po’ più “umano” del solito, ma alla fine l’atleta giamaicano ha comunque vinto tre ori (100, 200 e staffetta 4×100 metri), portando a undici il totale dei successi conseguiti ai campionati del mondo: nessuno come lui. Infine, a livello di nazioni una citazione la meritano anche gli Stati Uniti. Gli atleti a stelle e strisce difficilmente falliscono gli appuntamenti importanti, e anche questa volta alcuni di loro sono stati capaci di prestazioni tecniche davvero sbalorditive come ad esempio quella di Chris Taylor, oro nel salto triplo a soli otto centimetri dall’ormai ventennale record mondiale di Jonathan Edwards, o come quella realizzata da Ashton Eaton, autore del nuovo record mondiale nel decathlon.

 

Il mondiale che va in archivio ci ha regalato tanti altri momenti da ricordare. Negli ultimi giorni, infatti, abbiamo visto l’affermazione di alcuni atleti dati alla vigilia tra i grandi favoriti, come ad esempio il britannico Mo Farah, indubbiamente il più forte fondista dell’ultimo decennio, autore della seconda doppietta consecutiva iridata nei 5.000 e nei 10.000 metri. Allo stesso tempo, però, abbiamo anche visto salire sul gradino più alto del podio atleti per i quali erano davvero in pochi a pronosticare la vittoria. Come l’olandese Dafne Schippers, bianca ed europea, oro nei 200 metri (e argento nei 100), capace di ritagliarsi uno spazio da protagonista all’interno del consolidato bipolarismo “nero” Stati Uniti-Giamaica che da anni caratterizza le prove di velocità. O come Ghirmay Ghebreslassie, giovanissimo vincitore a sorpresa della maratona maschile, rappresentante di un Paese povero come l’Eritrea, spesso alla ribalta mediatica per l’elevatissimo numero d’immigrati che quotidianamente sbarcano in Italia fuggendo dalla dittatura di questo Stato.

 

Purtroppo, tra tutti i variegati colori di Pechino è mancato solo l’azzurro di casa nostra. I nostri ragazzi sono andati incontro al peggior mondiale di sempre: nessuna medaglia (era accaduto solo a Berlino nel 2009), 10 eliminazioni al primo turno su 13 presenze nelle gare individuali, 2 eliminazioni su 2 presenze nelle semifinali delle staffette: un bilancio davvero fallimentare. Le uniche note liete, diciamo così, sono arrivate dai nostri maratoneti (Ruggero Pertile quarto e Daniele Meucci ottavo), dalla marcia femminile (quinta Antonella Palmisano nella prova sui 20Km), e da Gianmarco Tamberi (ottavo nel salto in alto). Poco, davvero troppo poco per l’atletica italiana.

 

Ci consoliamo, ma solo parzialmente, pensando che molti atleti che abbiamo visto protagonisti negli ultimi giorni si allenano spesso proprio da noi. Tra questi, la velocista giamaicana Shelly-Ann Fraser-Pryce, ormai da anni la donna più veloce del pianeta (in questi mondiali ha vinto l’oro nei 100 metri e nella staffetta 4×100), che ha come “base estiva” Lignano Sabbiadoro, Ezekiel Kemboi, il keniano che a Pechino si è aggiudicato il quarto titolo mondiale consecutivo sulle siepi e che si allena a Siena, e Amel Tuka, emergente bosniaco giunto terzo negli 800 metri, che a Bussolengo è guidato dal coach Gianni Ghidini.

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