Il sacerdote della poesia

Uno sguardo in profondità sulla vicenda umana e artistica del grande musicista Leonard Cohen, autore di una serie di successi immortali fino al grandissimo Allelujah dove ha colto «l’accordo segreto suonato da David e gradito al Signore».
Cohen

Cohen è un cognome ebraico che significa "sacerdote". E Leonard Cohen, che oggi è partito da questa terra pera snocciolare le sue struggenti e toccanti ballate nel cielo di Dio, un sacerdote lo è stato per davvero: un sacerdote della poesia.

 

Leonard è nato in Canada 82 anni fa da una famiglia tradizionalista: da bambino frequentava due volte alla settimana la scuola ebraica e regolarmente la sinagoga.La vita non è stata tenera con lui. Quando celebra il bar mitzvah, la cerimonia con cui gli ebrei festeggiano l’entrata nella maturità, suo padre non ha potuto recitare su di lui la tradizionale benedizione, perché era morto poco tempo prima.

La madre si risposa ma poi viene abbandonata dal nuovo marito e cade in depressione. Leonard trova sollievo nella musica. Ma anche qui incontra il tragico: dopo poche lezioni di chitarra il maestro che gli insegna muore. Leonard ha appena imparato i tocchi del flamenco, che segneranno comunque la sua successiva produzione artistica.

 

Si dà allora alla poesia, e scopre Garcia Lorca. Un abbaglio. Scrive poesie, e di buona qualità. Ma sulle poesie non campa. Deluso si reca a New York. Siamo a metà degli anni ’60. Incontra il giro dei nuovi cantautori. Butta giù una canzone, Susanne. Una cantante ben più celebre di lui la interpreta: è un successo (da noi la interpreterà, tradotta, Fabrizio De Andrè).

 

Da allora, fino alla soglia della morte, Leonard compone una serie di successiimmortali. Ma soprattutto ammalia il suo pubblico.

 

Con la sua voce roca e profonda che ti penetra nelle viscere, con la sua poesia che ti dà le ali e ti fa volare, che ti fa venir voglia di piangere o di abbracciare. 

 

Cohen era un tipo complesso: alternava momenti di euforia a momenti, ben più numerosi, di depressione. E questo si percepisce dalle sua canzoni.

 

Tutta la sua vita è stata una ricerca di equilibrio tra  stati d’animo contrastanti: per questo i suoi viaggi nelle droghe, gli sguardi accorati nelle profondità dell’ebraismo e delle filosofie indiane. Ma le donne sono state il segno della sua vita. Tra le loro braccia, cercate con avido candore, con bruciante passione, ma per poi fuggirne, egli cercava quell’amore che avrebbe dovuto riempire il vuoto che sentiva nel profondo dell’anima.

 

Da questa ricerca, impossibile – ma non è solo l’impossibilità che porta a Dio? diceva Simone Weil – nascono le sue poesie,  come nascono  i fiori dal letame in Via del Campo.

 

A un certo punto della sua vita Leonard Cohen scrive una canzone di grandissimo successo: Allelujah. Tutti la conoscete. È una canzone bellissima. Ma soprattutto… il testo ci fa comprendere che  lui ha colto «l’accordo segretosuonato da David e gradito al Signore».

 

È un misto imprescindibile di amore divino e di amore umano per la donna, questa canzone. Come la vita di re Davide.

 

Leonard Cohen ne ha colto il segreto. L’accordo segreto dell’arpa che toccava il cuore di Dio, che lo faceva piangere e sussultare di gioia: per questo l’Eterno concedeva tutto a Davide, tutto gli perdonava.  Quando sulle cetra intonava: «Come la cerva desidera i corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente; quando verrò e comparirò in presenza di Dio…»

 

E Leonard Cohen, che ne aveva colto il segreto, poteva concludere così il suo Allelujah: «Ho fatto del mio meglio, non era granché / Non provavo nulla, così ho provato a toccare / Ho detto il vero, non sono venuto per prenderti in giro / E anche se è andato tutto storto / Mi ergerò davanti al Dio della Canzone /E dalle mie labbra altro non uscirà che: Alleluja».

 

E allelujah, parola ebraica, significa “lodiamo Dio”. E così oggi, sono certo, Cohen è là, tra gli angeli, con Mozart e compagni poeti e musicisti ben più qualificati, a cantare il suo Allelujah.

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