Il presidente ex guerrigliero

Che cosa sta dietro il personaggio atipico per la politica appena eletto? Le speranze e le incertezze.
mujica

Com’è possibile che in un Paese dove la democrazia e la moderazione sono una religione sia stato eletto presidente della Repubblica un ex comandante guerrigliero?

È la domanda che molti osservatori stranieri si facevano la sera del 29 novembre, quando José Mujica, candidato del partito di governo, il Frente Amplio, festeggiava la vittoria nel ballottaggio con il 52,6 per cento dei voti (contro il 43,33 del suo avversario, il candidato della destra Luis Alberto Lacalle) in un’autentica festa civica popolare, tra una moltitudine di militanti. Per capirlo, cerchiamo prima di capire l’Uruguay, un Paese fuori dagli schemi della “nazione sudamericana tipo” (ammesso che ne esista uno).

 

Si tratta del Paese meno indigeno e più europeizzato del continente, un popolo gentile, posato e conservatore, dall’economia agricola e soprattutto di allevamento (bovino e ovino), con altissimi tassi di alfabetizzazione e di informatizzazione, forgiato dai precetti della rivoluzione francese – soprattutto l’uguaglianza – e della laicità, infusi anche per opera della massoneria e dei tanti anarchici spagnoli e italiani esuli che hanno ingrossato le file dell’immigrazione. Una nazione governata fino al 2004 da partiti tra i più antichi al mondo (il partito Colorado e il partito Nazionale), che sin dagli inizi del novecento, con la carismatica presidenza di José Batlle y Ordóñez, diedero una forte impronta socialdemocratica che formò un paese – definito “la Svizzera d’America” – di grande integrazione sociale, caratterizzato da una classe media lavoratrice e di buon potere d’acquisto.

 

Certo, sin dagli anni Cinquanta, una volta diluiti gli effetti benefici del dopoguerra per i Paesi produttori di alimenti della regione, le cose cominciarono a cambiare, e la situazione socioeconomica, pur restando sempre tra le meno peggiori del continente, cominciò a deteriorarsi lentamente (con alcuni picchi di crisi) e progressivamente. Nacquero anche le prime baraccopoli. Così, nei primi anni Sessanta, l’opinione pubblica cominciò a seguire allarmata un succedersi di fatti insoliti, cominciati con l’ormai storico furto di armi al Club di tiro svizzero del 1963. Qualcosa si stava rompendo. In una delle manifestazioni e marce nella capitale dei lavoratori della canna da zucchero del nord, i cañeros di Artigas, fu formalmente accusato dei disturbi Raúl Sendic, studente di legge e leader del sindacato dei cañeros che passò alla clandestinità. Il fermento crescente tra i leader sindacali, la loro lettura della situazione sociopolitica, la loro ammirazione per la rivoluzione d’Algeria e soprattutto per quella cubana, e per i processi di lotta politica sudamericana, unita alla convinzione che la sinistra politica nazionale aveva sì dato un apporto alle lotte sociali dell’epoca, ma si era adattata al sistema – a sua volta succube dei poteri dei grandi capitali e della finanza – e non aveva ascendenza significativa sul popolo, portarono alla fondazione del Movimento di Liberazione Nazionale – Tupamaros (Mln). L’unica via, secondo loro, era quella delle armi.

 

Uno dei comandanti della guerriglia e fondatori del Mln fu José Mujica, un giovane simpatizzante dell’ala sociale del partito Nazionale, nato in un quartiere popolare di Montevideo all’epoca della dittatura civica del Presidente Gabriel Terra. Orfano di padre dalla terza elementare, Mujica non aveva terminato il biennio di preparazione all’università. Dopo tre arresti e due fughe, Mujica passò 13 anni in condizioni estreme, come ostaggio politico della dittatura militare cominciata nel 1973, che perseguiva i capi dell’ormai sconfitta organizzazione terrorista. Fu liberato insieme ad altri compagni nel 1985, quando il primo presidente costituzionale dopo il regime militare, Julio María Sanguinetti, decretò un’amnistia generale. In quell’occasione, le sue prime parole di fronte ai giovani simpatizzanti che salutavano la sua liberazione furono di difesa convinta della democrazia, tra la sorpresa generale. Forse riecheggiava nelle sue orecchie lo storico e nobilissimo discorso che il generale Seregni, fondatore del Frente Amplio, pronunciò dal balcone di casa sua appena liberato dopo 10 anni di reclusione politica, davanti a una gran moltitudine pronta a tutto.

 

Ma che cosa è cambiato ne “el Pepe”, soprannome con il quale è conosciuto Mujica, dalla lotta armata alla più alta carica democratica del Paese? «Credevamo che con le armi avremmo costruito un mondo migliore sulle rovine del vecchio ordine. Poi risultò che quell’ordine era molto più disordinato di quello che supponevamo. E la sua complessità aumenta mentre entriamo, o siamo trascinati, in un mondo nel quale neppure i proprietari dei mezzi di produzione sono “i re del mambo”», ebbe a dire il Mujica al quotidiano spagnolo El Mundo nel 2008.

 

Mujica è un uomo che ha meditato sui suoi errori. Dopo pochi anni dalla liberazione, insieme ad altri reduci del Mln, ha fondato il Movimento di partecipazione popolare, gruppo politico inserito nel Frente Amplio (Fa, Fronte Ampio): una coalizione nata nel 1971 da una forte base sindacale, grazie all’alleanza tra il partito socialista, comunista e democristiano e con l’afflusso di leader dei cosiddetti “partiti tradizionali” (quello Colorado e quello Nazionale), che dopo successive incorporazioni ricopre ora uno spettro di centro-sinistra davvero ampio, che include da comunisti ancora ispirati in un obsoleto marxismo a socialdemocratici di stampo europeo. Dalla sua fondazione il Fa è in continua ascesa, ed ha ottenuto le prime vittorie elettorali con la conquista del comune-regione chiave di Montevideo nel 1995 per opera dell’attuale capo dello Stato Tabaré Vázquez. Governo che la coalizione mantiene ininterrotto fino ad oggi.

 

Mujica ha costruito un protagonismo politico per il Mpp all’interno del Fa con un gran pragmatismo politico, uno stile diretto (a volte troppo, come ha ammesso), aperto e popolare, una comunicatività colorita e ricca di modi di dire contadini, diretta alla gente semplice, che lo sente come uno di loro anche grazie alla coerenza dei suoi costumi austeri. Ma anche con il dialogo, persino con chi una volta era “il nemico”, come gli imprenditori e il mondo della finanza. “El Pepe” vive (e continuerà a vivere, anche da presidente) in una fattoria, che progetta come una futura scuola agraria per i ragazzi poveri della zona, dove lavora la terra personalmente. Nei primi giorni della sua esperienza in Parlamento fu fermato dal personale di sicurezza, poiché il suo abbigliamento trascurato e il suo arrivo in Vespa non facevano supporre che si trattasse di un deputato…

 

Mujica arriva alla massima carica dello Stato dopo una campagna elettorale che ha visto – e non solo da parte dell’opposizione – colpi bassi, aggressività, accuse e sospetti, che hanno diviso in due un elettorato non avvezzo ai toni accesi. Il fatto è che dalle elezioni primarie, mediante le quali l’elettorato sceglieva il candidato unico di ciascun partito, sono usciti vincitori i rappresentanti più estremi dei due partiti maggiori. Luis Alberto Lacalle, già presidente per il partito Nazionale, di destra, era considerato il campione del neoliberalismo. Mujica era visto come il suo opposto. In questo modo, pareva consolidarsi il movimento verso gli estremi dello spettro politico e la divisione in due “metà” dell’elettorato. I due candidati sconfitti, Jorge Larrañaga e Danilo Astori, hanno assunto il rischio di legarsi alla sorte di chi li aveva sconfitti (e che poteva poi vincere o perdere, trascinandolo con sé), hanno accettato la candidatura alla vicepresidenza ed hanno lavorato instancabilmente a servizio di chi partiva da linee programmatiche diverse dalle proprie, privilegiando il bene dei loro partiti. Lacalle e Mujica li hanno ringraziati pubblicamente alla fine della corsa.

 

Paradossalmente, ora che tanto Mujica quanto Lacalle camminano verso quelle intese che avevano promesso in prima istanza, i simpatizzanti dell’una o dell’altra “metà” danno segni di una per certi versi inedita inimicizia (da facebook alle discussioni da bar). Persino i richiami alla concordia e all’unità sono stati fischiati dai militanti durante i discorsi la sera della giornata elettorale. Ma ci auguriamo che ciò sia frutto della foga della lotta elettorale, davvero molto sentita in un paese che fa del civismo, prima ancora che della cultura, una religione laica e umanista, alternativa a quella tradizionale.

 

E ora? Che aspettarsi da un governo di un ex-guerrigliero? Continuità con quello attuale, giacché il Fa è una coalizione che dalle basi fino alla direzione privilegia le idee e i programmi elaborati democraticamente rispetto ai personalismi. Ma anche qualche aggiustamento di rotta. Tra le iniziative promesse: una riforma del pesante apparato burocratico statale, l’istituzione di un ministero della scienza e della tecnologia, una copertura sanitaria sussidiata per i pensionati di basso reddito, miglioramenti nei salari e nella professionalizzazione della polizia, misure urgenti per la lotta alla produzione di cocaina e per il problema della casa, e la proposta che gli enti statali siano quotati in borsa. In quanto alla politica estera, Mujica si è dichiarato ammiratore di Lula, ed ha evidenziato una certa affinità con gli altri leader della sinistra regionale elogiando anche alcune politiche economiche della presidente del Cile, Michelle Bachelet. Insomma, un più forte inserimento regionale con una prudente distanza dagli Stati Uniti, grandi importatori di carne uruguayana.

 

La principale critica al governo di Vázquez (che gode di un’approvazione record del 70 per cento della popolazione) è stata quella di prescindere dal dialogo con l’opposizione, poiché disponeva di una comoda maggioranza parlamentare, ora più esigua. Per questo i primi segnali di Mujica hanno confermato la volontà di accordi trasversali nel campo dell’educazione, sicurezza, energia e ambiente (aspetto nel quale l’Uruguay aspira a un certo protagonismo, sulla ruota del Brasile), con riunioni già realizzate nei giorni immediatamente successivi all’elezione.

 

I messaggi lanciati la notte del trionfo fanno ben sperare. Subito dopo aver ringraziato la folla di sostenitori, Mujica ha ricordato che «in una sera di gioia ci sono compatrioti triste, che sono fratelli del nostro sangue. Per questo: né vincitori né vinti – una frase storica di José Artigas, il padre della patria a cui si ispira il Fa – abbiamo solo scelto un governo, che non è padrone della verità, e che ha bisogno di tutti». Poi ha chiesto scusa per le offese della campagna elettorale: «Il mio riconoscimento, dottor Lacalle, il mio riconoscimento, Larrañaga, compagno senatore. E se in qualche occasione il mio temperamento di combattente mi ha fatto forzare i toni, chiedo perdono per le offese, e da domani cammineremo insieme». Nella stessa direzione andavano le parole solenni e degne dello sconfitto Luis Alberto Lacalle.

Se son rose…

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