Il presente dell’arte

Al via la 58a edizione dell'Esposizione internazionale d’arte a Venezia fino al 24 novembre 2019

May You Live In Interesting Times, Che possiamo vivere in tempi interessanti può risuonare come un auspicio o come una minaccia. Che cosa vuole suggerirci questo titolo suggestivo e dunque proporci questa nuova edizione della Biennale? Ralph Rugoff, il curatore, ha spiegato che l’ispirazione è venuta da un articolo scritto nel 1936 su un giornale britannico, lo Yorkshire Post. Sir Austen Chamberlain, membro del Parlamento inglese, di fronte alle minacce nei confronti della sicurezza europea citò questo proverbio/maledizione cinese. Che l’arte possa garantirci tempi interessanti è quindi la vera proposta.

Difficile dire qualcosa di questa Biennale che sicuramente affronta le problematiche del nostro presente: l’accelerazione dei cambiamenti climatici, la rinascita di programmi nazionalisti, la pervasività dei media e la disseminazione di fake news che infrangono la fiducia nei confronti dei mezzi di comunicazione, la crescente disuguaglianza economica. I luoghi che ospitano la mostra sono gli stessi di sempre, i Giardini e gli spazi dell’Arsenale, mentre nel resto della città l’offerta è di ben 21 eventi collaterali. Tra questi vanno segnalati la mostra di Burri alla Fondazione Cini, quella di Kounellis da Prada, di Pino Pascali a Palazzo Cavanis, di Baselitz alle Gallerie dell’Accademia, di Arshile Gorky a Cà Pesaro. Si segnalano poi 90 partecipazioni nazionali con alcune novità: Ghana, Madagascar, Malesia e Pakistan.

Rugoff, attuale direttore della Hayward Gallery di Londra, ha scelto 79 artisti che si sono presentati in due diversi contesti: sia al Padiglione Centrale dei Giardini, sia all’Arsenale. Il concept è mettere a confronto le opere degli artisti anche in relazione agli spazi che le ospitano. Quindi gli stessi hanno presentato i loro lavori sia nel Padiglione Centrale dei Giardini (spazio neoclassico realizzato in occasione della prima edizione della Biennale nel 1895) che nella struttura industriale dell’Arsenale (dove venivano fabbricate corde e cime per la flotta veneziana a partire dal 1303) dimostrando come la percezione o la comprensione dell’opera sia profondamente condizionata dal contesto. A conferma di un’attenzione crescente dell’arte nei confronti della problematicità del presente – un dato che caratterizza la postmodernità – è la presenza di installazioni che denunciano drammaticamente i fatti della storia.

 

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È il caso di Barca nostra la nave/bara trasportata a Venezia dal canale di Sicilia dove trovarono la morte, il 15 aprile 2015, 800/1000 migranti e che fu poi portata ad Augusta nel Giardino della Memoria. Il relitto è stato presentato dall’artista svizzero-islandese, Christoph Büchel, ed è ancorata all’Arsenale presentando la sconvolgente ferita che ne ha causato l’affondamento. Così anche Can’t Help Myself degli artisti cinesi Sun Yuan e Peng Yu è un marchingegno apocalittico, una bloody clean machine, che spazza e sposta il sangue (inchiostro rosso) da un punto all’altro di un ambiente cubico trasparente. Il tema delle catastrofi e del cambiamento climatico è poi ricorrente e, a titolo esemplificativo, nel padiglione giapponese, il lavoro a più mani di un artista, un antropologo, un compositore, un architetto hanno reso possibile un’esperienza spaziale in cui Cosmo-Eggs, titolo dell’opera, ci fa vedere cosa resta di uno Tsunami.

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Insomma la Biennale che ai Giardini accoglie i visitatori con una sottile nebbiolina che emana dal Padiglione centrale, pensata da Lara Favaretto, all’Arsenale trova nel Padiglione Italia una traduzione nel tema del Labirinto. Milovan Farronato, il curatore, ha voluto ispirarsi a Calvino. Né altra Né questa. La sfida al labirinto è l’opera di tre artisti: Chiara Fumai, Liliana Moro, Enrico David= ovvero perdersi per ritrovarsi. Davvero un traguardo importante per ciascuno di noi.

 

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