Il postino non suona più

Poste rivoluziona il servizio di distribuzione della corrispondenza e riduce a dieci giorni al mese la consegna in 5.300 Comuni italiani. Eppure lo Stato garantisce alla società (pronta a quotarsi in borsa) 300 milioni di euro l'anno
postino

La classica era la cartolina per il servizio militare. E naturalmente le lettere dal fronte. Le buste più emozionanti quelle di fidanzate e fidanzati che abitavano lontano. Poi è arrivato il computer, internet, le mail. Oggi anche What's App e iMessage. Così è cambiato il modo di comunicare. E Poste Italiane ha scelto di adeguarsi alla trasformazione tecnologica che ha cambiato la vita degli italiani. La risposta? Costi più alti per inviare una lettera, postino telematico con un piccolo terminale per raggiungere a casa gli utenti, distribuzione a giorni alterni della corrispondenza nei Comuni più piccoli. Scelte aziendali, mirate a un complessivo risparmio – comunicano dall'azienda – per snellirla e per portarla a breve in borsa. Peccato che le decisioni non siano piaciute ai Comuni che hanno rispedito al mittente il piano presentato la scorsa primavera ed entrato in funzione il 1° ottobre. Perché ad esempio, in 5.300 Comuni italiani dove vive un quarto della popolazione del Paese, la Posta arriverà a giorni alterni e il postino suonerà solo dieci giorni su trenta al mese. In quasi duemila Comuni inoltre gli sportelli verranno chiusi e gli operatori alzeranno la serranda solo tre giorni la settimana. Non banali le conseguenze sul piano occupazionale, con qualche migliaia di prepensionamenti e anche esuberi sul quale si stanno azionando i sindacati.

 

È il sistema di Enti locali, con Anci – l'associazione dei Comuni italiani – a essersi schierato contro le riduzioni di servizio di Poste. Dal Piemonte, dalla Lombardia e dal Veneto, dove sono quasi tremila i paesi oggetto dei "tagli", le organizzazioni sindacali dei Comuni hanno annunciato ricorsi al Tar e denunce per "interruzione di pubblico servizio". Che il postino non suoni più non è una novità. Almeno da cinque anni, nelle aree rurali, collinari e montane del Paese, Poste aveva già limitato pesantemente il servizio. A poco sono servite le prese di posizione di numerosi Deputati che hanno richiamato più volte le delibere dell'Autorità Garante delle Comunicazioni e il contributo che lo Stato versa a Poste: 300 milioni di euro per assicurare il "Servizio postale universale", oggi, secondo i sindaci dei piccoli Comuni, "pesantemente compromesso". Difficile trovare una soluzione mentre gli avvocati affinano i testi dei ricorsi contro il colosso della comunicazione, sempre più banca e negozio. Alcuni Comuni hanno proposto a Poste di gestire tesoreria, telefonia mobile e altri servizi per la pubblica amministrazione, per ottenere in cambio lo sportello aperto tutta la settimana. Soluzioni ponte, complicate dalla burocrazia. Quello che è certo è che gli abbonati a un quotidiano, residenti nei piccoli Comuni, dovranno probabilmente rinunciare alla consegna a casa, per recarsi in edicola ad acquistarlo. Possibile anche un aumento delle tariffe per l'invio di settimanali, oltre che delle lettere. Rischi che hanno spinto alla mobilitazione la Federazione italiana degli Editori cattolici, che riunisce 190 testate italiane. La Fisc ha ottenuto la consegna dei giornali senza riduzione di giorni fino al 31 dicembre 2015.

 

"Ora, si può ragionare con più calma con tutte le parti in causa – commenta Francesco Zanotti, presidente della Fisc – Resta vero che quello postale è un servizio essenziale, un bene comune, da garantire a tutti i cittadini, come previsto anche da una direttiva dell’Unione europea, vincolante per gli Stati membri. Inoltre, con la consegna della posta a singhiozzo viene meno la libertà per tutti i cittadini d’informarsi, tenuto conto del grave pregiudizio che si arrecherebbe a quelle pubblicazioni quotidiane e settimanali diffuse tramite abbonamento”.
Dal Parlamento, numerosi deputati e senatori hanno chiesto un intervento diretto di Palazzo Chigi per mettere un argine al piano di Poste e per non creare differenze tra aree urbane (dove la corrispondenza potrebbe arrivare due volte al giorno) e zone rurali, "periferie" geografiche dell'Italia. "Rileviamo – afferma Enrico Borghi, deputato e presidente dell'Intergruppo per lo Sviluppo della Montagna – la totale incuranza da parte dell'azienda per un sistema corretto di relazioni con gli enti territoriali, che lamentano da ogni dove assenza di concertazione e di confronto nei confronti di un'azienda che fra l'altro ancora oggi fa cassa grazie a locali e strutture messe a disposizione pressochè gratuitamente da numerose municipalità. E si arriva dopo che numerose mozioni votate dalla Camera, nelle quali si faceva esplicito riferimento alla necessità di garantire il livello dei servizi uniforme sull'intero territorio nazionale, sono state messe nei cassetti".

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