Il papa a Lesbo, il programma della visita

Tanto entusiasmo e grande attesa per la visita del papa ai migranti. Il papa stringerà la mano a 300 rifugiati nel campo di Moria e, per la prima volta, dopo mille anni di separazione, la Chiesa cattolica, il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e la Chiesa ortodossa greca agiranno insieme per motivi umanitari che superano le barriere politiche e dogmatiche. Intervista a Maristella Tsamatropoulou, addetta alla comunicazione della Caritas Hellas
Migranti in Grecia

Che attese ci sono per la visita del papa a Lesbo?

«È un passo grandioso verso l’ecumenismo perché dopo quasi mille anni c’è una riunificazione delle tre chiese con papa Francesco, Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, e Sua Beatitudine Hieronimus II, l’arcivescovo greco ortodosso di Atene e di tutta la Grecia. È il segno che solo in unità e concordia si può trovare una soluzione alla crisi umanitaria che supera tutte le barriere politiche e dogmatiche».

 

È cambiato il clima in Grecia rispetto alla visita di Giovanni Paolo II del 2001?

«Ci ricordiamo tutti le critiche e i commenti negativi nonostante la richiesta di perdono di Giovanni Paolo II per il sacco crociato di Costantinopoli del 1204 e la preghiera comune con l’arcivescovo Christodoulos. Oggi la situazione è tutt’altra. Anche i non credenti vedono in modo molto positivo la visita di papa Francesco che è giudicato come una persona molto speciale, molto umana, che si rivolge ai più poveri, ai malati. In questo momento mi trovo a Lesbo in un albergo che la Caritas Hellas ha noleggiato per accogliere le famiglie dei rifugiati a Lesbo. In gran parte sono musulmani e sono tutti entusiasti della venuta del papa. Se è così per loro immaginiamoci i sentimenti dei cristiani».

 

Quali sono i motivi del viaggio?

«La delegazione vaticana ha spiegato che avviene per motivi umanitari. Il papa, per primo, mette in pratica quanto dice negli Angelus, e cioè che dobbiamo aiutare qualsiasi uomo sulla terra. E lo fa costruendo dei ponti e mettendo da parte ogni tipo di ostacolo».

 

QUale sarà il programma della visita?

«Il papa atterrerà a Lesbo verso le 10 e 20 del mattino di sabato 16 aprile. Ci saranno i saluti del primo ministro Alexis Tsipras e l’incontro con Bartolomeo I e Hieronimus II. Un’ora dopo visiterà il campo di Moria e stringerà la mano a 300 rifugiati. A conclusione ci saranno tre brevi discorsi, per un totale di 15 minuti, di papa Francesco, Bartolomeo I e Hieronimus II. Alcune parti del programma non sono ancora definite, ma alle 13 e 30 ci sarà l’incontro con i cattolici greci che stanno arrivando da tutta la Grecia. Seguirà una preghiera ecumenica indirizzata verso il mare a ricordo di tutti i defunti naufragati. Verso le 14 e 45 il papa si dirigerà verso l’aeroporto per tornare a Roma».

 

In che contesto sociale e politico avviene questa visita?

«Da due anni stiamo attraversando una doppia crisi: umanitaria, con le centinaia di migliaia di rifugiati che arrivano in Grecia, ed economica. Il popolo greco è devastato e sottomesso a misure di austerità sempre più pesanti. Tagli di stipendi, alla sanità, all’istruzione. La vita è sempre più cara e il popolo non ce la fa più. Viviamo una crisi nera e profonda. Le speranze nel nuovo governo si sono dissolte e da 7 anni siamo in una situazione terrificante. I disoccupati aumentano e i giovani laureati, con dottorati all’estero, se trovano un lavoro, percepiscono uno stipendio di 400 euro al mese, senza coperture assicurative».

 

Cosa pensa dell’accordo tra Unione europea e Turchia?

«Non è stata una buona decisione. I rifugiati non vengono in Grecia per farsi una vacanza, scappano da situazioni di estrema povertà, da guerre terribili. Scappano, rischiando la loro vita. Rimandarli indietro, dopo che hanno speso tutti i loro soldi per fuggire, non è una decisione giusta».

 

Si hanno notizie dei migranti che restano in Turchia e non arrivano più in Grecia. In che condizioni vivono?

«C’è da dire che la maggior parte dei migranti che arrivano in Grecia sono siriani. Ora, siccome sanno che potrebbero essere rimpatriati, molti decidono di non partire. In ogni caso i siriani che sono a Lesbo hanno la speranza che qualche frontiera si possa riaprire. Ci raccontano che preferiscono morire piuttosto che tornare in Turchia. Sappiamo che alcuni di loro sono stati maltrattati, le donne stuprate, arrivano bambini con dei tagli alle mani e ai piedi. Bisogna sapere che in Turchia ci sono solo centri di detenzione, che sono delle carceri, e che la Turchia stessa “produce” rifugiati. Tanti di loro sono curdi che vogliono scappare dal loro Paese».

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