Il nuovo sindaco di Torino dovrà riunificare la città

Sono quasi 700mila i torinesi chiamati alle urne per scegliere il primo cittadino, il  Consiglio comunale e i consigli delle dieci circoscrizioni, nonché dei rispettivi presidenti. Serve riunificare un tessuto sociale disgregato dove chi sta bene sembra ignorare i problemi dei più deboli e non mancano proteste anche violente
Torino piazza san Carlo

Per la carica di Sindaco i sondaggi dicono che a Torino la sfida sarà probabilmente tra Piero Fassino, sindaco uscente del PD e la giovane Chiara Appendino, candidata del Movimento 5 Stelle. Staccati Giorgio Airaudo (SI), Osvaldo Napoli (FI), Alberto Morano (FdI-Lega), Marco Rizzo (Comunisti), Roberto Rosso (NCD), Vito Colucci (PdF) e altri outsider (per un totale di ben 17 candidati sindaco), i cui voti potrebbero però risultare decisivi per il probabile testa a testa al ballottaggio.

“Per amore di Torino”
Con questo slogan Piero Fassino chiede ancora la fiducia dei torinesi dopo il primo mandato per aprire una seconda fase improntata sullo sviluppo e alla creazione di lavoro, primo punto di un programma incentrato molto su tematiche di natura economica. A livello sociale ed infrastrutturale Fassino propone una città “senza periferie”, “vivibile e all’avanguardia”, “sicura”, “vicina a famiglie e anziani”, “attenta ai bambini e agli adolescenti”.

“Una città sana, sicura e solidale”
Chiara Appendino ha stilato il suo programma partendo da 17 gruppi di lavoro tematici che, analizzando i problemi attuali della città hanno elaborato “progetti di breve, medio e lungo periodo” con uno sguardo particolare a giovani e alle periferie. Il programma punta molto sull’urbanistica e la riorganizzazione della macchina comunale e declina su scala locale le linee del M5S nazionale, come il reddito di cittadinanza, il micro-credito per le Pmi, l’attenzione all’ambiente e il riconoscimento dei diritti Lgbt.

Problema astensione
“L’importante è che la gente vada a votare”, dice Chiara Appendino alla fine del confronto pubblico dei candidati, lanciando un auspicio che condivide anche Fassino. L’astensionismo è un problema reale: un sondaggio del mese scorso indica come in città 1 su 2 abbia espresso l’intenzione di non recarsi alle urne.

In tutti i rioni negli ultimi mesi si sono moltiplicate iniziative per sottolineare l’importanza della partecipazione politica e per riaccendere una speranza verso una politica più inclusiva. Anche un una delle moschee più frequentate sono risuonate forti le parole dell’imam che, durante un affollata preghiera del venerdì ha invitato i presenti (votanti e non) ad un rinnovato impegno, ricordando come la politica è quel processo con cui si prendono le decisioni che ci riguardano come cittadini, e che i musulmani “sono invitati dalla loro fede a promuovere il bene e riformare il male ovunque e per chiunque”.

Dalla collaborazione di alcuni giovani candidati in circoscrizione è nata l’idea di proporre ad amici e coetanei un pic-nic al parco, in cui poter rinfrescare motivazione e modalità di voto. “Abbiamo colto in giro disinteresse nella politica, per una sfiducia formata attraverso l’idea di politica che si costruisce guardando la tv, e da una non curanza del fatto che possiamo essere parte attiva nel nostro futuro senza capire che le elezioni ci chiedono di scegliere per davvero chi amministrerà il nostro territorio, il nostro “quartiere”, racconta Debora Pensi, una delle ideatrici. “ConoscerLA per Partecipare” è invece l’ appuntamento promosso dalla Scuola di Partecipazione Politica del MPPU del Piemonte attraverso cui Davide Mattiello, parlamentare, e Maurizio Pagliassotti, giornalista, hanno portato spunti di riflessione su aspetti della metropoli non sempre al centro delle agende politiche.

Cosa aspetta Torino
Il prossimo sindaco di Torino si troverà a dover fare i conti con molteplici realtà. La questione delle periferie, per incominciare, messa in evidenza anche dall’arcivescovo Cesare Nosiglia, che da conoscitore del tessuto sociale della città ha segnalato la coesistenza di “due città”, dove “quella che sta ancora relativamente bene ignora i veri problemi dell’altra, invisibile non perché non esista, ma perché non si vuole vedere e udire e si fa finta che non ci sia per non sentirsi moralmente e socialmente costretti a farsene carico”. Un richiamo alla necessità di reciprocità che serve per recuperare un tessuto sociale oggi molto disgregato e che alimenta malumori, espressi anche con azioni violente, come nel dicembre 2013 con le proteste dei forconi, partite da qui. Risorse ed energie che dovranno essere investite anche per tamponare la disoccupazione galoppante, per promuovere iniziative per la convivenza interculturale, per non dimenticare la sicurezza, per investire nella mobilità: le sfide non mancano.

Sperando che Torino, dopo averlo inserito come principio del proprio statuto, possa continuare ad essere “Capitale della Fraternità”, capace di trovare insieme le risorse per ricucire le ferite sociali ancora aperte.

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