Il primo Natale di René

Il primo bambino curdo-sciglianese. Un progetto di accoglienza che può costituire un modello per ridare vitalità ai piccoli centri della Calabria in via di spopolamento

Squarci di sole piovuti da un cielo nuvoloso si rincorrono su montagne e colline ricoperte da foreste di faggi, pini, cerri e castagni le prime, da macchia mediterranea le seconde. Quando intercettano i paeselli annidati sulle alture, di colpo l’uniforme grigio di questi si tramuta in un biancore accecante: riprendono vita.

Stiamo attraversando in auto il territorio del Savuto, diretti a Scigliano, sulle pendici della Sila Piccola Cosentina. Con Sandro al volante e me viaggia Dawin, 19 anni, un curdo iracheno ospite del centro Caritas di Lamezia Terme. È fuggito dal suo Paese dopo lo sterminio dei genitori e del fratello ad opera dei miliziani dell’Isis, ma quando sul suo volto spunta un sorriso e s’illumina (come quei paeselli sui cocuzzoli!) sarebbe difficile intuire la tragedia che l’ha colpito.

Dawin ci accompagna a Scigliano per festeggiare la nascita del primo bambino di Halo e Razhan, giovani sposi curdi che fanno parte di un progetto d’accoglienza sostenuto dall’amministrazione comunale di quel piccolo borgo. Con l’occasione saluteremo alcuni suoi giovani connazionali e una famiglia libico-marocchina fino a qualche tempo fa ospiti a Lamezia.

Mentre guida, Sandro racconta come ha conosciuto, mesi fa, Halo e sua moglie. Profughi dall’Iraq, lei incinta, invano avevano cercato alloggio a Lamezia: come Giuseppe e Maria a Betlemme. Dopo le prime notti trascorse all’aperto con qualche coperta di fortuna, il prodigarsi del mio amico aveva trovato per loro la soluzione Scigliano. Per questo gli avevano detto dopo la nascita del bambino, 21 giorni or sono: «È un po’ anche figlio tuo». Ora siamo ansiosi di vedere il piccolo René.

Finalmente appaiono le prime case di Scigliano, circa 1300 abitanti comprese le frazioni sparse nei dintorni: un insieme di forte interesse per le numerose antiche chiese e i palazzi storici. Usci e finestre serrati, almeno nella parte che stiamo attraversando, denunciano lo spopolamento comune, purtroppo, ad altri centri della regione.

Un viavai di persone davanti ad un palazzo gentilizio ci segnala che siamo arrivati. Proprio in questo edificio da poco ristrutturato e messo a disposizione dal comune vivono Halo e Razhan insieme ad altri tre nuclei di rifugiati: la famiglia libico-marocchina, una curda e una nigeriana. Tra i primi a riconoscerci e a farci festa sono i giovani curdi e i piccoli Ahmed, Ali e Yahy: ora che studiano alle medie il loro italiano ha fatto progressi, anzi ha assunto sfumature dialettali.

Vivacissimi come sempre, ci scortano fino al primo piano. Sul pianerottolo, sopra un fornello borbotta un pentolone da cui si sprigionano appetitosi odori: cuoce il couscous vigilato dalla madre, Soad, che ci schiocca sulle guance baci sonori; poi ci invita a visitare l’appartamento destinato alla sua famiglia: stanze ampie, soffitti alti dalle robuste travature di legno. Più pacato dell’esuberante consorte, ma altrettanto lieto, è il saluto di Zakariya.

Ridiscesi al pianterreno, nella sala dove fervono i preparativi per la festa, facciamo conoscenza con due giovani del Kurdistan iracheno che da quattro anni studiano presso l’istituto di agraria di Scigliano. Insieme ad altri diciotto ragazzi del loro Paese partecipano al “Pitagora Mundus”, un progetto internazionale di formazione professionale mirato a promuovere in dieci centri della Calabria, tramite il recupero della cultura magno-greca, italica ed euro-mediterranea, lo studio delle dinamiche scientifiche e sociopolitiche attuali. Grazie a Chalak e ad Ali, ormai esperti d’italiano ed anche mediatori culturali, è più facile intenderci con i loro connazionali che stanno appena iniziando ad apprendere la nostra lingua.

Continua ad arrivare gente: la seconda famiglia curda composta da Dlawar, insegnante di Storia dell’arte, da sua moglie Covar e dalla piccola Eva (Leena, la figlia più grande, è a scuola); due sorelle nigeriane con un bellissimo bambino, Francesco, occhi sgranati; Gulzar, un’altra signora curda; Hassan, un sudanese lui pure mediatore culturale; Khalid del Marocco, barbetta nera crespa e calotta bianca, responsabile del progetto di accoglienza. Sono invece sciglianesi Vincenzo che fa a tutti scuola d’italiano, Angelo, operatore sociale, Valentina e due signore entusiaste, che tengono a dirci: «Siamo felici e orgogliose per la presenza qui di questi amici. Stanno rivitalizzano il paese, sono una risorsa».

Il primo cittadino del borgo, Raffaele Pane, interviene a sottolineare lo spirito di accoglienza e il senso di umanità che da sempre contraddistinguono la sua comunità. «I primi giorni dopo l’arrivo di queste famiglie li ho impiegati a presentarle in giro per il paese ai miei concittadini. Ora – afferma soddisfatto – sono perfettamente integrate con il resto della popolazione. Speriamo che questa esperienza positiva possa rappresentare un modello per tutto il territorio del Savuto».

Si riferisce al Sistema di protezione per richiedenti asilo (Sprar), che punta alla continuità del loro percorso d’inserimento socio-economico, basato sulla buona accoglienza: un modello che si sta affermando anche in altri centri come Riace, Badolato, Acquaformosa e Caulonia. Favorendo, tra l’altro, la ripresa di attività artigianali in via di estinzione.

Finalmente, a tavole imbandite, arriva con i genitori il vero protagonista: René, il primo bambino curdo iscritto all’anagrafe di Scigliano. Malgrado il vocìo, dorme placidamente in braccio alla giovane mamma dai capelli biondi e occhi di gazzella. Razhan ha la grazia e la maestà di una Madonna dipinta su una tavola del Trecento. Halo, il papà, non si sa se è più commosso o più orgoglioso.

In onore del neonato esplode, tra gli applausi, il tipico ululo di gioia delle donne africane, stavolta amplificato anche dai ragazzi curdi. Gli fanno corona volti luminosi e occhi lucidi di gioia e commozione: eppure tra gli invitati c’è chi ha perso parenti in modo efferato, chi li ha viventi ma lontani e non sa quando potrà riabbracciarli. Ora però non c’è posto per i tristi ricordi o gli affanni per un futuro incerto: tutti godono di questa piccola oasi di fraternità. Ancora una volta un fragile bambino è divenuto forte segno di speranza.

 

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