Il mondo di John Adams

Al Teatro dell’Opera di Roma sino a stasera è in scena il lavoro del compositore, didatta e direttore d’orchestra americano, una novità assoluta per l’Italia
teatro

Immaginare un Song play in due atti, con l’allestimento fantasiosamente creativo di Giorgio Barberio Corsetti, ripreso dal Théatre du Chatelet parigini, sette personaggi giovani in cerca di un senso nella vita. Ognuno di loro si presenta attraverso canzoni o duetti, in una sorta di love story polifonica nella metropoli di una Los Angeles prima e dopo il terremoto del 1994. Si frantumano sogni, paure, pulsioni, rimangono amori, desideri, voglia di pace. Il talentuoso Adams inscena un’opera-commedia realistica che mantiene lo scheletro del solito melodramma– concertato a fine atto, aria, duetto-, ma con i ritmi più diversi e moderni del blues, rock, jazz e gospel. In definitiva assembla intelligentemente i più differenti stili, Kurt Weill compreso. Ogni personaggio infatti “è” il tipo di musica che interpreta.

Il risultato è molto gradevole, anzi in molti momenti davvero stimolante per le soluzioni sceniche, la regia cinematografica, complici le videoproiezioni che mescolano citazioni di Hopper, Magritte, Basquiat e altri in un universo coloratissimo e vivace, trascolorante e mai invasivo. Certo la musica è bella, il cast numeroso, divertente e liricamente a posto. Si può dunque ancora scrivere un’opera lirica, oggi, senza rompere in maniera troppo drastica con la tradizione e i n forme “tonali”, ancorchè rivisitate? E si può fare un allestimento che non disturba, ma va a braccetto con la musica e la storia d’amore, come nel vecchio melodramma? Si può. L’opera, dal lungo titolo I was looking at the ceiling and then i saw the sky (“Stavo guardano il soffitto e all’improvviso ho visto il cielo”) riesce a farlo meravigliosamente, complice la direzione senza protagonismi ma attentissima di Alexander Briger. Da ripetere.

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