Il mondo di Byron

Una personalità poliedrica: eccessiva, geniale e corrusca, tra abissi ed elevazioni. Il regista Marco Filiberti lo ripropone come “accadimento” a tu per tu con il mistero
Byron di Filiberti

Si legge ancora lord Byron in Italia (in Europa)?. La domanda non è retorica. Perché quest’uomo vissuto a cavallo tra due secoli – come Napoleone – ha dominato la sua epoca con la forza di una personalità poliedrica: eccessiva, geniale e corrusca, tra abissi ed elevazioni. Un “pellegrino dell’eternità” che ancor oggi ha qualcosa, forse molto, da dire. Si può legittimamente parlare di una riscoperta, assistendo in anteprima nazionale al lavoro di Marco Filiberti – regista, attore, cantante, scrittore – al Teatro Moriconi di Jesi, dal 25 al 27 gennaio.

 

Diciamolo subito: non si tratta di una rappresentazione meramente teatrale, anche se si svolge in un luogo chiuso – bello e molto acustico, del resto – con recitazione, scene, musica e luci.

Tutto, curato fino allo spasimo perchè coprotagonista dell’evento. Qui si tratta di un “Accadimento in un prologo e due atti”, che deve certo al teatro, al melodramma, alla tragedia greca e a quella scespiriana. Ma anche molto alla rilettura dell’esperienza romantica e tardo-romantica, comprendendo letteratura poesia e arte figurativa.

 

Quello che Filiberti infatti rappresenta è un “mondo”. Per questo parlare di rappresentazione teatrale tout court è limitante, e forse fuorviante per entrare nell’”Accadimento”.

L’universo byroniano è divelto in una trinità di personaggi, cui danno vita tre diversi attori (Giovanni Scifoni, David Gallarello, Niccolò Tiberi) ognuno dei quali esprime una faccia del poeta e dell’uomo in un dialogo contrastato con “Caino” (Enrico Roccaforte), ovvero i l genio del male. E’ così che la “sacra rappresentazione laica” si fa evento culturale di forte spessore, riflessione sul Bene e il Male nella vita degli uomini, sull’interpretazione di Dio e del cristianesimo, sulla volontà di potenza dell’uomo e di eternità e sulla forza della bellezza, ma anche della seduzione e della perversità.

 

Byron è l’Uomo moderno, contraddittorio, incerto, ambizioso e fragile. Deciso contro ogni ipocrisia e nello stesso tempo egli stesso sottoposto alla sua tentazione. Ma soprattutto sembra che sia il problema del dolore e del male, insieme alla sete di Purezza e di immortalità che Filiberti accentua. Fa sì che il movimento intenso delle luci, in chiaroscuri violenti, le controscene sulle logge dell’ambiente, i dialoghi anche furenti tra i personaggi, certe desolazioni lacrimose e certe ribellioni, insieme a lacrime e lamenti, diventino espressioni vitalistiche del corpo – bello e deforme al contempo – e dell’anima –  alta e dannata – dell’Uomo. Un uomo che sfida certo anche Dio, ma soprattutto cerca di elevarsi per raggiungere la Porta.

 

La porta che, come spesso nelle opere di Filiberti, si apre su qualcosa di immenso e purificato. Di un mistero verso cui vanno le oltre due ore di rappresentazione, che coinvolgono fino allo straniamento perché nessun angolo del pensiero sembra sfuggire ad un indagine fisica e metafisica sull’uomo,che musiche, scene, luci e costumi accompagno tra silenzi acuti. Byron’s Ruins, questo è il titolo dell’Accadimento – è tutto questo, ma anche di più. Se Filiberti, come pare, ne trarrà u n film, potremo avere altre sorprese.

 

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