Il Louvre si fa in due

Apre la nuova sede a Lens, città mineraria a un'ora da Parigi. Con un investimento di 200 milioni di euro il governo vivacizza l'economia locale, in declino da anni, e alleggerisce il grande museo di opere rimaste inesposte
Museo del Louvre

I nostri cugini d’Oltralpe non ci amano troppo. Qualche volta hanno ragione. Il gigantesco Museo del Louvre, il più visitato al mondo – subito dopo ci sono i Vaticani e gli Uffizi – con ben 35 mila opere che lo gonfiano a dismisura e fanno perdere gli occhi ai visitatori, ha deciso di sdoppiarsi. Così ben 200 opere si trasferiranno nella nuova sede a Lens, città mineraria in totale declino da un ventennio, i cui abitanti, una volta vittime delle malattie respiratorie, ora lo sono della depressione  e della disoccupazione. Lens dista un’ora di Tgv da Parigi e 30 minuti da Lille, perciò è facile raggiungerla.

Il governo ha stanziato 200 milioni di euro per ridare fiato all’economia locale mediante la costruzione di questo nuovo museo, dalle linee moderne assai agili, a opera dei giapponesi, ovviamente. C’è una sala da 300 posti per teatri, concerti e conferenze, parchi e vialetti, e si vedranno i restauratori all’opera.

Si parte il 12 dicembre con l’invio di capolavori fra cui il "Ritratto" di Baldassar Castiglione di Raffaello e la "Sant’Anna Metterza" di Leonardo: un colpo astuto, perché masse di turisti arriveranno qui da tutto il mondo, un volta a Parigi, per non perdersi due geni. Naturalmente, le opere “gireranno” ogni cinque anni per un cambio e ciò garantirà la sfilata di capolavori destinati a far risorgere l’economia di Lens, se è vero che già fioccano richieste di licenze per ristoranti e negozi vari.

L’hanno pensata bene i cugini. Ma per i francesi non è del tutto una novità. Napoleone, ad esempio, quando ha depredato Italia Germania e Spagna, non ha portato tutto al Louvre, ma saggiamente ha distribuito le opere in vari musei non troppo lontani, come Fontainebleau e Chantilly o Digione.

Comunque sia, il Louvre respirerà un poco, anzi saranno i suoi magazzini a respirare, perché finalmente le opere chiuse da anni usciranno al pubblico. Magari si riscopre qualche capolavoro, come capita ogni tanto.

Insomma, l’arte fa bene all’economia, e viceversa. L’idea certo andrà bene, come è accaduto a Bilbao.

E da noi? Se qualcuno va a Milano, alla Pinacoteca di Brera, assiste ad uno spettacolo penoso: mentre passa per le stanze, vedrà quadri imprigionati dentro altre sale, decine di opere chiuse in un deposito a vista, sotto gli occhi di tutti. Eppure a Milano non mancherebbero palazzi dove trasferirne una parte. Si potrebbe dire lo stesso a Firenze: i magazzini degli Uffizi scoppiano.

Non parliamo di Napoli. Ma ci vuole quel coraggio di credere al bene economico della cultura che purtroppo i nostri ministri ad hoc da anni proclamano senza muovere un dito più di tanto.

Perchè non provare? Se i suddetti ministri ogni tanto andassero nel weekend per musei si accorgerebbero quanta fame c’è di cose belle, e quanto rende.

Potrebbe provarci anche il Vaticano. Il Palazzo Lateranense ce n’ha di spazi…

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