Il governo alla prova

Dopo la fiducia l'esecutivo è adesso più forte. E può durare almeno fino al semestre di presidenza italiana dell’Unione. Follia sprecare questa opportunità, che può consentire di varare provvedimenti importanti per il Paese
Angelino Alfano e Enrico Letta

Un flash back per far memoria  Due settimane orsono il governo era dato per spacciato. Era il 25 settembre, quando venne paventato l'annuncio di un Aventino dei parlamentari del Pdl (che avrebbero consegnato nelle mani dei capigruppo le loro “dimissioni in bianco”), con l’obiettivo di paralizzare il Parlamento e costringere Napolitano a sciogliere le Camere.

Il 27 settembre la situazione precipita, perché arrivano anche le dimissioni dei cinque ministri del Pdl, con la motivazione che si stessero «violando i patti sull’aumento dell’Iva, contraddicendo il programma presentato alle Camere». Il premier Letta invita a non rigirare la frittata, perché il mancato intervento sul congelamento dell’aliquota dell’imposta, a suo dire, sarebbe stato proprio«il frutto delle dimissioni dei parlamentari Pdl e quindi del fatto che non era garantita la conversione in legge del decreto».

La crisi di governo é ufficialmente aperta, con il gioco delle parti ed il rimpallo delle responsabilità, ma soprattutto con i mercati in caduta libera e lo spread al rialzo. Letta, dopo essere salito al Colle, annuncia che si recherà alle Camere per porre la fiducia e che fino a quella verifica parlamentare non accetteràle dimissioni dei ministri (che dunque restano in carica).

Nel Pdl esplode un vivace dibattito interno (con Alfano che si dichiara «diversamente berlusconiano»), che pare prefigurare una possibile scissione e la costituzione di gruppi autonomi contrari alla caduta del governo. Calcolatrice (e firme) in mano, si apre la conta fra lealisti e dissidenti.

Si va alla verifica in Parlamento Il 2 ottobre, a Montecitorio, il risultato è scontato, e la Camera vota la fiducia. La sorpresa, che ha del fantasmagorico, arriva l’indomani da Palazzo Madama, dove Berlusconi – che pure aveva scatenato la crisi di governo – avuto chiara la percezione che Letta sarebbe sopravvissuto al voto di fiducia anche grazie al sostegno dei dissidenti del suo partito, ha fatto marcia indietro dichiarando in aula (pur se «dopo un intimo travaglio») il sostegno per il premier e il voto a favore del governo.Così, dunque, anche dal Senato arriva la fiducia, ed il governo rimane in sella.Le borse apprezzano ed anche lo spread si riduce.

Il discorso di Letta Il presidente del Consiglio ribadisce che il governo continuerà a lavorare con la stessa squadra di ministri, che considera parte integrante del programma, e che farà questo «in un rapporto corretto con il Parlamento». E poi conclude con una riflessione sulla grande coalizione e sulla “paura di mescolarsi”:  «Non ci sono alternative allo stare insieme. Quello che facciamo sarà decisivo, se abbiamo fiducia sul fatto che l’Italia può uscire dalla crisi». Secondo il premier la paura di una scelta di questo tipo arriva «se si ha paura della propria identità, se si pensa di avere un’identità debole».

Tutto risolto?  Passa appena un giorno e, il 4 ottobre, arriva il pronunciamento della giunta del Senato sulla decadenza di Berlusconi. Anche se l’esito era preannunciato e abbondantemente scontato, l’effetto è quello di benzina sul fuoco, con l’innesco di nuove polemiche, anche queste scontate. Ma ormai il dado è tratto (Letta, novello Cesare, ha varcato il Rubicone) ed il governo non subisce contraccolpi, pur con la consapevolezza che, lungi dall'essere risolta, la crisi politica è solo rinviata.

Cogliere l’attimo. Scongiurata la crisi e ottenuta nuovamente la fiducia, adesso il governo è più forte e deve andare avanti. Con determinazione. Superando le fibrillazioni che non mancheranno, perché le differenze di visioni nella coalizione di governo ci sono e continueranno ad esistere. E’ di ieri l’esempio emblematico dell’Imu, con le proposte di emendamenti sulla seconda rata avanzate e poi ritirate dal Pd.

Occorre tenere fissa la barra e, soprattutto, remare nella stessa direzione, credendo fermamente che non vi sia altra via di uscita dalla crisi che stringe l'Italia e che lega i destini del continente europeo in un rapporto di interdipendenza.

Bisogna non sprecare l’opportunità di un governo che può operare con stabilità, anche se per un periodo limitato,per incidere sulle politiche per il lavoro, per rilanciare la crescita, per la tutela dei più deboli. A partire dalle scelte concrete per il Patto di stabilità, che sono alle porte. E per incardinare le riforme più attese, da quelle istituzionali alla legge elettorale, dalla giustizia al fisco.

A tal fine, serve coraggio.  Per non far ricadere sull’azione del governo le conseguenze delle questioni interne ai due partiti di maggioranza, che si prospettano come vere e proprie rese dei conti (congressi, scelte delle leadership, equilibri fra le correnti), e, soprattutto le vicende personali che nella seconda quindicina di ottobre interesseranno Berlusconi. Tutto questo (importante per i partiti, molto meno per la gente comune), andrebbe mantenuto distinto dal cammino dell’esecutivo, se davvero ci sta a cuore il Paese.

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