Il film sull’altare

L'uccisione di un anziano sacerdote, don Jacques Hamel, e il video dello sgozzamento rivelano la strategia comunicativa del Daesh, che recluta i deboli, spettacolarizzando le loro azioni e illudendoli di essere diventati forti e invincibili
Don Jacques Hamel sacerdote ucciso in Francia foto Ap

C'è qualcosa di altamente incongruo nei fatti di Saint-Etienne-du-Rouvray. Mille e uno sono i commenti sui fatti normanni, e ce n'è ben ragione, ma pochi hanno stigmatizzato un dettaglio, un elemento apparentemente secondario: mi sembra in effetti inconcepibile che Adel e Abdel si filmassero mentre sgozzavano il mite padre Jacques.

 

Una schizofrenia comportamentale ricca di significati. In fondo – pur nella diversa proporzione dei fatti – li ha guidati la stessa logica dei ragazzini che picchiano un disabile per postare poi il video su YouTube, degli undici camorristi-baby che violentano una 15enne con lo stesso scopo, dei tifosi di ciclismo che per farsi un selfie da brivido mettono a repentaglio l'incolumità dei campioni, di quello studente yankee che prima di far strage di coetanei ostenta sulla Rete i suoi muscoli armati, di quel politico che va alle riunioni civili solo per farsi vedere in pubblico e passare in tv e non gliene importa un fico secco di quello che si sta facendo.

 

È il trionfo delle profezie di McLuhan e Debord, coloro che ancora negli anni Sessanta avevano immaginato una società tutta-visibilità, una società dello spettacolo, una società che perde ogni prospettiva storica, e quindi ogni profondità di pensiero, appiattendosi su un presente di visibilità effimera. Solo che per riuscire a catturare l'attenzione di quel pubblico magmatico che gira sulla Rete, tocca essere sempre più eccentrici, più violenti, più orribilmente disumani. È quel che sta accadendo. Solo una mente malata può filmare il prete sgozzato o inventare uno slalom micidiale come quello del camion sulla Promenade Des Anglais.

 

Se poi si aggiunge che la Rete è potenzialmente uno dei luoghi di maggiore solitudine esistenziale, ecco che appare evidente come le menti comunicative del Daesh siano riuscite a intercettare lo strumento di destabilizzazione sociale più efficace che oggidì esista, perché cattura i più deboli illudendoli di essere qualcuno, di essere forti e invincibili. Togliendo dal loro orizzonte di vita il principio di realtà. Rendendoli disponibili agli atti più efferati.

Con tutto ciò la fede non ha nulla a che vedere. È macelleria comunicativa.

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